La Corte europea dei diritti umani interviene sulla delicata questione della maternità surrogata in Italia.
L’Italia, secondo la recente sentenza della Corte europea dei diritti umani, ha trascurato i diritti di una bambina nata attraverso la pratica della maternità surrogata in Ucraina. La mancata riconoscenza legale del legame tra il padre biologico e la bambina ha portato a una situazione di incertezza prolungata per la piccola, che è stata considerata apolide nel nostro paese.
Il contesto della maternità surrogata in Italia
La maternità surrogata, spesso definita come “utero in affitto”, è una pratica controversa e vietata in Italia secondo la legge 40/2004. Tuttavia, molte coppie italiane si rivolgono all’estero, dove la pratica è legalmente accettata, per realizzare il sogno di diventare genitori. La sentenza della Corte europea mette in luce le lacune del sistema legislativo italiano in materia, sottolineando la necessità di garantire i diritti dei minori nati attraverso questa pratica.
Le implicazioni della sentenza
La Corte ha evidenziato come le autorità italiane abbiano mancato di garantire il diritto della bambina al rispetto della sua vita privata. Questa situazione ha lasciato la piccola in uno stato di vulnerabilità, priva di un’identità legale chiara nel paese. La decisione ha sollevato numerose questioni etiche e legali riguardo alla maternità surrogata e al riconoscimento dei diritti dei bambini nati attraverso tale pratica.
La sentenza della Corte europea rappresenta un campanello d’allarme per l’Italia, sottolineando la necessità di rivedere e aggiornare la normativa sulla pratica in questione. È essenziale garantire i diritti dei minori e riconoscere la complessità delle questioni legate al così detto “utero in affitto” in un contesto internazionale.