Sotto tortura la psicologa che aveva in cura Alessia Pifferi, la donna che ha lasciato morire di stenti la figlia Diana.
Dopo 30 anni di servizio, Paola Guerzoni, la psicologa coinvolta nel caso di Alessia Pifferi – accusata per l’omicidio della figlia Diana – ha deciso di non lavorare più in carcere. La decisione arriva dopo che l’indagine a suo carico per falso ideologico e favoreggiamento, ha segnato un punto di non ritorno per la professionista.
Le accuse contro la psicologa di Alessia Pifferi
Paola Guerzoni, insieme a un’altra collega, è finita nel mirino lo scorso 24 gennaio. La psicologa è accusata di aver aiutato Alessia Pifferi, imputata per l’omicidio della figlia Diana, a ottenere una perizia psichiatrica attraverso la falsificazione di alcuni atti, tra cui un test psicodiagnostico.
Dalle numerose intercettazioni agli atti, oltre al pranzo di Natale che è stato omesso, risultano altri dettagli. Per esempio di come fossero ben informate sul lavoro dei periti nell’accertamento psichiatrico in corso.
In un’intercettazione del 5 gennaio, invece, si sentirebbe dire dalle due professioniste: “Voglio dire… la Pifferi avevamo bisogno che il test confermasse! L’ha confermato! (…) Col c…che gliel’avrei fatto! Hai capito? […]”.
Un’umiliazione insopportabile: “Trattata come i detenuti”
Durante l’interrogatorio, Guerzoni si è avvalsa della facoltà di non rispondere, sostenendo la sua innocenza e definendosi “annientata” dalle accuse. La psicologa ha descritto l’umiliazione subita durante la perquisizione, affermando di essere stata trattata “come i detenuti, scortata a vista, messa in una situazione dove tutti hanno potuto osservare la scena, agenti, detenuti, colleghi”.
Questa esperienza, unita alle accuse, l’ha spinta a decidere di non voler più lavorare in carcere. Attraverso il suo legale, Paola Guerzoni ha depositato una lettera in cui esprime il suo dolore e la sua decisione di cercare un’alternativa al lavoro in carcere. La professionista si dice “innocente su tutta la linea” e di vivere con angoscia e stupore quanto le sta accadendo.
“Ci faremo risentire quando la Procura cristallizzerà le accuse. Ribadiamo che a nostro avviso si tratta di una contestazione assurda e non conferente all’attività della mia assistita”, ha spiegato l’avvocato della psicologa.
La vicenda ha provocato anche la rinuncia del pm Rosaria Stagnaro, che rappresentava l’accusa nel processo con Francesco De Tommasi. Stagnaro ha deciso di rinunciare all’incarico, non condividendo l’iniziativa del collega, che non l’avrebbe informata sulla tranche d’inchiesta aperta.