Aveva violentato una volontaria della Croce Rossa oltre un decennio fa: finalmente arriva la condanna per l’ex coordinatore.
Dopo una lunga battaglia legale durata 13 anni e sette processi, M.R., l’ex coordinatore della Croce Rossa, è stato condannato per violenza sessuale su una volontaria. La sentenza definitiva arriva dalla Cassazione, che ha respinto l’ultimo ricorso presentato dalla difesa.
Il verdetto finale per l’ex coordinatore della Croce Rossa
Dopo tredici anni di processi e rinvii tra la Cassazione e le Corti d’appello, è giunto il verdetto definitivo nei confronti dell’ex coordinatore della Croce Rossa, accusato di violenza sessuale nei confronti di una volontaria. La Cassazione ha respinto l’ultimo ricorso presentato dagli avvocati dell’imputato, cristallizzando così la condanna a 3 anni e 8 mesi.
A seguito di questa decisione, M.R. andrà presto in prigione affrontando le conseguenze dei suoi atti risalenti a ben 13 anni fa. Il reato di cui è accusato non consente l’applicazione di misure alternative alla detenzione, quindi l’uomo dovrà rimanere almeno un anno in osservazione prima di poter sperare di ottenere qualche beneficio.
I legali dell’imputato hanno commentato la sentenza dichiarando: “Rispettiamo la decisione, anche se siamo fermamente convinti che non sia giusta. Non ha senso incarcerare una persona per fatti avvenuti 13 anni fa”. Gli avvocati hanno sottolineato il paradosso della situazione dicendo: “Qualcuno dovrebbe spiegarci quale sia il senso educativo di una pena inflitta e scontata così tardi rispetto all’eventuale commissione del reato”.
Il lungo calvario giudiziario
Tutto ebbe inizio nel 2010, quando la donna iniziò a lavorare per la Croce Rossa con un contratto interinale, entrando così in contatto con il commissario locale, indirettamente suo superiore. Anni più tardi, la donna raccontò di essere stata vittima di violenza sessuale.
La volontaria ha quindi denunciato cinque episodi che hanno come teatro le salette dei volontari del 118 negli ospedali Mauriziano, Gradenigo e San Giovanni Bosco. In primo grado l’uomo venne assolto, ma in Cassazione il verdetto viene nuovamente stoppato, disponendo un terzo processo d’appello, invitando il collegio a scandagliare in modo più articolato il rapporto gerarchico.
Per i giudici non vi è “ombra d’incertezza” sulle violenze: l’uomo avrebbe approfittato del fatto che lei temeva di “perdere quel pur modesto lavoro che le garantiva un minimo di redditività”. In aula tornano tre testimoni che lavoravano alla Croce Rossa in quegli anni e che avevano incarichi di coordinamento. Ancora una volta arriva una condanna: 3 anni e 8 mesi. Nelle motivazioni i giudici scrivono che “a distanza di anni la vittima risulta ancora emotivamente coinvolta“.