“Donne, Vita, Libertà!” è lo slogan, divenuto noto in tutto il mondo, utilizzato durante le proteste seguite alla morte di Masha Amini.
La ventiduenne iraniana arrestata e percossa perché, mentre era in gita con la famiglia nella capitale, avrebbe indossato il velo islamico un po’ allentato.
Nel settembre 2022, due giorni dopo la morte della giovane, a partire dalla sua città natale, Saqqah, hanno preso vita in tutto il Paese manifestazioni che, per la prima volta, hanno riguardato non solo le classi medio-alte cittadine ma anche gli abitanti delle aree rurali.
Le donne e gli studenti hanno svolto un ruolo chiave nelle manifestazioni, in cui, oltre alle richieste di maggiori diritti per le donne, a partire dall’abrogazione dell’obbligo di indossare l’hijab, gli iraniani protestano contro la polizia morale, l’Ayatollah Kameini e la Repubblica Islamica di cui vogliono il rovesciamento.
Le proteste senza fine
Le proteste continuano da oltre due anni capillarmente: i manifestanti organizzano piccoli flash mob, gli automobilisti bloccano le strade con le auto per rallentare le forze di sicurezza mentre gli studenti le bloccano con cassonetti e auto della polizia ribaltate. I manifestanti cantano dai tetti delle case, tingono di rosso sangue le fontane, le donne si tolgono il velo e gli danno fuoco e molte di loro si tagliano i capelli. Poiché il turbante è considerato il simbolo del regime, alcuni manifestanti lo fanno cadere dal capo dei religiosi e lo lanciano in aria prima di scappare.
Il Regime ha risposto e continua a rispondere con estrema violenza, nonostante i ripetuti appelli della comunità internazionale. Oltre alla limitazione dell’uso di internet e dei social media e agli arresti dei giornalisti (40 già dopo un mese dall’inizio delle proteste), torture, maltrattamenti e violenze sessuali vengono sistematicamente utilizzati per estorcere confessioni.

Nel novembre 2022, un tribunale rivoluzionario di Teheran ha emesso la prima condanna a morte nei confronti di uno dei manifestanti con l’accusa di “lotta contro Dio” e, ad oggi, almeno 10 uomini sono stati giustiziati mentre altri 14, tra cui tre donne, rischiano la pena capitale.
Il rapporto dell’ONU
Il 14 marzo di quest’anno, la Missione di Inchiesta Internazionale Indipendente istituita dall’O.N.U. ha presentato al Consiglio per i Diritti Umani, il Rapporto sulla situazione dei diritti umani in Iran.
Il rapporto illustra le gravi violazioni dei diritti umani e i crimini contro l’umanità commessi nel contesto delle proteste, sottolineando che, dall’introduzione del cd. “Piano Noor” nell’aprile 2024, sono aumentate le persecuzioni legali contro le donne che sfidano l’obbligo dell’hijab, con sanzioni penali ora legalizzate che vanno dalle multe al carcere, fino alla pena di morte.
Si tratta, spiega il Rapporto, di una persecuzione sistematica da parte dello Stato mirata a limitare i diritti delle donne e ragazze, negando loro il diritto all’eguaglianza. Il Rapporto certifica poi che gli atti persecutori si verificano anche contro i familiari delle donne e contro i professori, gli avvocati e i giornalisti che cercano di dar loro voce.
La Missione che, ha raccolto oltre 38.000 prove e intervistato 285 testimoni, chiede alla comunità internazionale di continuare a perseguire la giustizia al di fuori dell’Iran, visto che all’interno del Paese non è indipendente, e di non abbassare la soglia di attenzione.
NON si può dimenticare. NON si può tacere.