Perché l’INPS può revocare i benefici della Legge 104, quali sono gli errori più comuni e come tutelarti con il ricorso.
Negli ultimi mesi, molte famiglie italiane hanno ricevuto dall’INPS una comunicazione tanto inattesa quanto temuta: la revoca dei benefici previsti dalla Legge 104/1992. Per chi vive o assiste una persona con disabilità, questa misura rappresenta un colpo durissimo, poiché significa perdere non solo i permessi retribuiti, ma anche agevolazioni fiscali e facilitazioni indispensabili nella vita quotidiana.
La Legge 104, entrata in vigore il 5 febbraio 1992, è stata per oltre trent’anni la normativa di riferimento in materia di assistenza, integrazione sociale e tutela dei diritti delle persone con handicap. I suoi benefici, tuttavia, non sono garantiti a tempo indeterminato. L’INPS, incaricato di gestirne l’applicazione, ha l’obbligo di verificarne periodicamente i requisiti, e se durante i controlli emergono situazioni di irregolarità, può procedere alla revoca.

Perché l’INPS può revocare la Legge 104
Tra le cause più frequenti vi è l’accertamento medico negativo: in sede di revisione sanitaria, la commissione può stabilire che le condizioni di disabilità grave non sussistono più. Un’altra situazione ricorrente riguarda l’assenza ingiustificata agli accertamenti, che l’istituto interpreta come segnale di non necessità del beneficio.
Anche l’uso improprio dei permessi retribuiti è una ragione determinante: la Corte di Cassazione, con diverse sentenze, tra cui la n. 8784 del 2015, ha chiarito che chi utilizza tali permessi per motivi estranei all’assistenza rischia il licenziamento e, nei casi più gravi, l’accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato. È importante ricordare che non è obbligatorio restare a casa durante le ore di permesso: spostarsi è lecito se l’attività è direttamente collegata all’assistenza, come recarsi a visite mediche o sbrigare pratiche burocratiche.
Come difendersi in caso di revoca
Quando l’INPS comunica la revoca della Legge 104, il primo passo è ottenere chiarimenti sulle motivazioni, utilizzando canali ufficiali come il servizio “INPS risponde” o il Contact Center. Successivamente, è possibile presentare un ricorso amministrativo entro novanta giorni, corredato da documentazione medica aggiornata e prove dell’effettivo bisogno di assistenza. Se l’istituto respinge l’istanza o non fornisce risposta nei termini, l’ultima strada è il ricorso giudiziario presso il Tribunale del Lavoro.
Dal 1° gennaio 2025, la riforma approvata dal Consiglio dei Ministri nel novembre 2023 è entrata ufficialmente in vigore, introducendo la valutazione bio-psico-sociale integrata con la certificazione di invalidità civile. Questa novità ha reso le verifiche ancora più rigorose e frequenti, richiedendo una gestione accurata della documentazione e il rispetto puntuale delle procedure, per evitare di perdere un diritto essenziale per migliaia di cittadini italiani.