La vitamina D è davvero miracolosa? Analizziamo 5 convinzioni errate, smascherate da studi clinici e linee guida ufficiali.
Negli ultimi tempi, la vitamina D è stata spesso descritta come un rimedio quasi miracoloso, capace di prevenire il cancro, rinforzare le ossa, migliorare il sistema immunitario e persino ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e neurodegenerative. Ma è davvero così? Le ricerche scientifiche più recenti hanno iniziato a mettere in discussione molte di queste affermazioni, rivelando una realtà ben più sfumata.
In questo articolo esaminiamo cinque false convinzioni molto diffuse sulla vitamina D, facendo riferimento esclusivamente a studi clinici di alta qualità e alle raccomandazioni delle principali autorità sanitarie, come l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e la National Academy of Medicine (NAM).

La vitamina D non previene cancro, Alzheimer o infarto
Come riportato da healthy.thewom.it, una delle affermazioni più frequenti è che la vitamina D possa prevenire il cancro o ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e neurodegenerative. Tuttavia, gli studi clinici randomizzati più solidi, come il VITAL trial pubblicato sul New England Journal of Medicine (Manson et al., 2019), non confermano questa ipotesi. In questo studio, che ha coinvolto oltre 25.000 partecipanti trattati con 2.000 UI al giorno di vitamina D per una media di cinque anni, non si è osservata una riduzione significativa dell’incidenza di tumori invasivi, infarti o ictus rispetto al gruppo placebo.
Analogamente, anche per quanto riguarda l’effetto protettivo della vitamina D contro malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, non ci sono prove conclusive. Le associazioni osservate in studi precedenti si basano su dati correlazionali e non su un rapporto causale verificato.
Durante la pandemia, si è anche diffusa l’idea che la vitamina D potesse rafforzare il sistema immunitario e prevenire infezioni come COVID-19 o l’influenza. Ma le revisioni sistematiche Cochrane e i trial più recenti non supportano benefici clinicamente rilevanti nella popolazione generale. La relazione tra bassi livelli di vitamina D e infezioni è solo osservazionale, e non giustifica una supplementazione universale.
Valori ottimali, supplementi e test: facciamo chiarezza
Un’altra convinzione errata è che per stare bene sia necessario avere livelli sierici di vitamina D superiori a 30 ng/mL. Secondo le linee guida della National Academy of Medicine e della Società Italiana di Endocrinologia, livelli pari o superiori a 20 ng/mL sono generalmente sufficienti per mantenere un metabolismo osseo sano nella popolazione sana. L’idea che valori più alti offrano ulteriori benefici è stata smentita da numerose pubblicazioni, e cercare di raggiungere soglie superiori senza indicazione può addirittura essere rischioso.
Effetti collaterali come ipercalcemia, calcoli renali e interazioni farmacologiche sono ben documentati nei soggetti che assumono alte dosi di vitamina D senza supervisione medica. È fondamentale, quindi, evitare l’autosomministrazione indiscriminata di integratori.
Infine, un’altra pratica diffusa ma priva di fondamento scientifico è lo screening di massa dei livelli di vitamina D. Secondo la Nota 96 dell’AIFA, il test dovrebbe essere riservato solo a persone con sintomi di carenza, condizioni di malassorbimento, insufficienza renale cronica, uso cronico di cortisonici o diagnosi di osteoporosi. Nei soggetti sani, senza fattori di rischio, questo tipo di analisi non migliora gli esiti di salute e contribuisce alla medicalizzazione inutile, con un conseguente aumento dei costi sanitari e della percezione errata di malattia.