Militari armati in divisa anonima, i cosiddetti ‘omini verdi’, avvistati al confine tra Estonia e Russia: ritorna lo spettro delle tattiche.
Negli ultimi giorni, al confine tra Estonia e Russia, sono stati avvistati uomini armati in divise prive di segni distintivi. Si tratta dei cosiddetti ‘omini verdi’ (little green men), un termine che richiama alla memoria la strategia utilizzata dalla Russia durante l’annessione della Crimea nel 2014. Le autorità estoni hanno definito la situazione “una minaccia” e hanno adottato misure temporanee di sicurezza. La notizia, diffusa dalla rete estone ERR, ha generato preoccupazione a Tallinn e tra gli alleati NATO.
In risposta, Marko Mikhelson, presidente della Commissione Affari Esteri del Parlamento estone, ha invitato alla calma, assicurando che il Paese mantiene “il totale controllo della situazione” come riportato da adnkronos.com

La strategia degli ‘omini verdi’: il caso Crimea come precedente
Il termine ‘omini verdi’ è stato coniato nel 2014 per descrivere soldati senza mostrine né bandiere, impiegati durante la presa della Crimea. Questi uomini occuparono aeroporti e strutture chiave prima che la Russia ufficializzasse la propria presenza. Solo settimane dopo, Vladimir Putin ammise che si trattava di truppe russe.
Lo stesso schema è stato adottato anche nel Donbass, rafforzando l’ipotesi di un’operazione pianificata di destabilizzazione regionale. Secondo il think tank Brookings Institution, queste azioni fanno parte della più ampia strategia di guerra ibrida di Mosca.
Estonia sotto osservazione: una prova per la NATO?
L’avvistamento al confine estone solleva interrogativi su un possibile test della risposta NATO. Il capo dell’intelligence tedesca ha recentemente affermato che Mosca potrebbe utilizzare ‘omini verdi’ per sondare i limiti dell’Articolo 5 del Trattato Atlantico, che prevede la difesa collettiva in caso di attacco.
Per ora, l’episodio resta circoscritto, ma la sua gravità è sotto attento monitoraggio da parte dei vertici militari e diplomatici europei. La situazione richiama l’importanza della prontezza strategica nei Paesi baltici, spesso considerati un potenziale fronte caldo della nuova geopolitica europea.