Marina Berlusconi denuncia nel Corriere della Sera l’eccessivo potere delle Big Tech: “Piattaforme in un far-west digitale”.
Nel pieno di una rivoluzione digitale senza precedenti, Marina Berlusconi – presidente di Fininvest e del Gruppo Mondadori – come riportato da adnkronos.com, ha lanciato un duro atto d’accusa contro le grandi piattaforme tecnologiche, in una lettera pubblicata dal Corriere della Sera. Il suo intervento affronta un nodo cruciale del nostro tempo: l’asimmetria tra editoria tradizionale e Big Tech, in termini di regole, responsabilità e impatto culturale.

“Gente che se ne frega”: la concorrenza sleale delle Big Tech
“Oggi le prime cinque Big Tech assieme – Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon – sono arrivate a superare il Pil dell’area euro”, scrive Marina Berlusconi. Ma il vero problema non è solo economico. “Il potere dei giganti della tecnologia va ben oltre. È un potere che rifiuta le regole, cioè la base di qualsiasi società davvero funzionante.”
Nel confronto con gli editori tradizionali, la disparità è netta: “Noi editori tradizionali paghiamo le tasse, rispettiamo le leggi, tuteliamo il diritto d’autore e i posti di lavoro – basti pensare che in Italia le piattaforme occupano appena un trentesimo dei lavoratori del settore”. Eppure, continua, “quasi due terzi del mercato pubblicitario globale vengono inghiottiti dai colossi della Silicon Valley, che fanno esattamente il contrario”.
In questo contesto, cita il titolo del saggio dell’ex-Meta Sarah Wynn-Williams: “Careless People, ‘gente che se ne frega’”. Una definizione netta, che descrive un sistema in cui le piattaforme agiscono senza responsabilità diretta per i contenuti pubblicati.
Il rischio culturale e politico del digitale senza regole
Secondo Marina Berlusconi, le piattaforme digitali prosperano in un “far-west dove nessuno risponde di quello che ha scritto, l’importante sono i clic”. Il risultato? “Si solleva la marea delle fake news, del linguaggio d’odio, del rifiuto delle opinioni diverse. In sintesi, il brodo culturale della polarizzazione e della radicalizzazione, in cui affoga purtroppo anche la politica.”
La riflessione si estende anche al contesto geopolitico, soprattutto statunitense: “L’intreccio tra politica e Big Tech negli Stati Uniti è sotto gli occhi di tutti e porta enormi vantaggi a un Paese che della tecnologia ha bisogno per affrontare le sfide geopolitiche”. Le Big Tech, afferma, “non sono più solo aziende private, sono attori politici”, capaci di passare “dal wokismo al trumpismo con la disinvoltura di un cambio di felpa”.
Marina Berlusconi non è contraria al progresso tecnologico – lo definisce “ormai in ogni nostro gesto” – ma invoca regole giuste: “Un mercato è veramente libero solo quando risponde a regole. Non troppe e soprattutto giuste – in questo l’Europa spesso inciampa”.
In conclusione, rilancia una provocazione significativa: “E se proprio nell’era del ‘Muoviti veloce e rompi tutto’ – il motto di Zuckerberg – ci trovassimo a riscoprire la forza lenta, ma costruttiva dei cari vecchi libri?”.
Un invito a usare l’editoria come antidoto all’omologazione digitale, come “anticorpi contro l’assottigliamento del pensiero imposto dallo smartphone”.