Adottati per povertà: il dramma delle madri straniere

Adottati per povertà: il dramma delle madri straniere

Alaba (nome di fantasia) aveva 25 anni quanto è arrivata in Italia nel 2006. La promessa era quella di un futuro migliore in Europa.

Ma Alaba è stata ingannata e inserita dai trafficanti all’interno della tratta internazionale di esseri umani. Alaba è una cittadina nigeriana e, due anni dopo il suo arrivo in Italia, due anni di sfruttamento e violenze, è riuscita a sottrarsi ai propri aguzzini, denunciandoli.

Successivamente, è stata ospitata a Roma, nell’ambito della comunità religiosa di Papa Giovanni XXIII. A Roma, Alaba è riuscita a lavorare con una certa regolarità. Successivamente però emigra in Francia e poi in Svizzera, al fine di cercare un approdo lavorativo più solido.

Quando è nel paese elvetico, le autorità scoprono che aveva un permesso di soggiorno ordinario e dunque non era titolare del diritto a svolgere attività lavorativa in un altro paese: nonostante si trovasse all’ottavo mese di gravidanza, le forze dell’ordine la riaccompagnano alla frontiera con l’Italia. Ed è qui che inizia il suo nuovo calvario.

«Sono stata accolta a Roma nel grande Centro Staderini gestito dalla Domus Caritatis. Qui mi si sono trovata bene e sono riuscita a dare alla luce la mia seconda bambina», Ma poi qualcosa va storto. “La bambina presentava sintomi riconducibili ad una malattia esantematica, la mamma era molto preoccupata per le condizioni della neonata ed aveva allertato la referente”. E, da qui, comincia una lunga attesa.

Tribunale

Il dramma di una madre

“Ho aspettato tutta la notte al pronto soccorso dell’ospedale Pertini, poi la bambina è stata portata al Bambin Gesù”. “Il tutto avveniva senza che la signora comprendesse i motivi dei vari spostamenti né la lunga attesa che la portava in forte confusione ed in una condizione di disorientamento, una situazione aggravata dall’assenza di mediatori”, si legge nella relazione firmata degli assistenti sociali del Centro Staderini, poi la giovane donna appare “tranquillizzata dall’arrivo delle operatrici che le spiegavano quanto stava avvenendo”, comprendendo così “l’importanza degli interventi sanitari e nulla eccepiva al riguardo”.

Il caso finisce in tribunale

Qualche tempo dopo però la faccenda finisce in tribunale. L’avvocato Salvatore Fachile, che ha seguito Alaba in tutte le fasi del giudizio spiega a Fanpage.it che: “Nonostante una serie di testimonianze che abbiamo prodotto e una vasta mole di documentazione che dimostra la sostanziale capacità genitoriale della ricorrente e, allo stesso tempo, la scarsa propensione alla lettura interculturale da parte di molte delle istituzioni coinvolte nel caso, il Tribunale per i Minorenni, in primo grado, ha dichiarato lo stato di abbandono delle minori, motivandola con l’esistenza di una situazione di fatto obiettiva del minore che, a prescindere dagli intenti dei genitori e degli altri familiari, impedisca e ponga in pericolo il suo sano sviluppo psico-fisico».