Parla la prima soccorritrice di Diana Pifferi, raccontando l’ennesima triste verità sulla madre, detenuta nel carcere di San Vittore.
Nel momento in cui i soccorritori si sono precipitati in casa di Alessia Pifferi, si sono subito accorti che la piccola Diana era morta. La donna sosteneva di aver affidato sua figlia ad una babysitter in quei giorni, in cui si trovava a Leffe dal compagno. Ma il racconta di una delle soccorritrici del 118 svela la verità.
Quando Diana Pifferi fu trovata morta
Michela Leva fu la prima ad entrare nell’abitazione di Alessia Pifferi, quel pomeriggio del 20 luglio 2022, facendo subito la macabra scoperta. Durante un’intervista a Quarto Grado, l’operatrice del 118 racconta: “Non appena sono entrata nell’appartamento, mi sono avvicinata alla culla per avere quello che in gergo si chiama il colpo d’occhio, ovvero una prima impressione della situazione. I biberon non li ho visti, sono sicura che non fossero nel lettino”.
Quello che ha visto immediatamente, sono state le “manine necrotiche e i piedini neri”. Non c’era nulla da fare, Diana Pifferi era morta. Rivolgendosi alla madre della piccola vittima, ha iniziato a porle delle domande, ma lei “continuava a ripetere di essere una brava madre“.
La bugia sulla babysitter
Poi, prosegue Leva, “quando l’ho accompagnata in bagno, mi diceva che si sentiva in colpa per essersi fidata di questa ipotetica baby sitter“. Alessia Pifferi si riferiva ad una tale Jasmine, conosciuta al parco e a cui la donna avrebbe lasciato la bambina durante i suoi giorni d’assenza.
“Mi raccontava di aver lasciato Diana il giovedì sera con questa baby sitter e che al suo ritorno aveva trovato la casa aperta e nessuno dentro. Avvicinandosi poi al lettino ha visto la figlia in quelle condizioni. Io in quel momento volevo credere che fosse vero, poi ho iniziato a guardarmi intorno”, racconta la soccorritrice. E’ in quel momento che Michela capisce che c’è qualcosa che non quadra.
I sospetti di Michela Leva
Allora Michela Leva ha preso in mano il telefono di Alessia offrendosi volontaria per chiamare la babysitter. Ma, come sospettava, “il suo numero non c’era”.
La donna avrebbe raccontato di aver visto Diana in videochiamata la mattina precedente e che stava bene. Quindi, “ho cercato nella cronologia e non c’era nulla”, confermando sempre di più i suoi sospetti. Approfittando di un momento di distrazione di Alessia Pifferi, si rende conto che tra le sue chat c’è invece quella con l’autista della limousine.
A quel punto era tutto chiaro: Alessia mentiva all’uomo come a sua madre, a cui diceva cose contrastanti, fingendo di essere insieme a Diana. Alla madre, “raccontava che Diana l’aveva fatta tribolare un po’, probabilmente per i dentini, e quindi che aveva fatto i capricci. Si lamentava di questo, ma la rassicurava sul fatto che andasse tutto bene“.
Alessia Pifferi non è mai stata vista piangere, nemmeno dai soccorritori. “Ha iniziato ad agitarsi soltanto quando ha realizzato che stava arrivando la polizia e che sarebbe andata in prigione“, conclude Michela Leva, aggiungendo: “Secondo me era lucida e capiva bene la situazione in cui si trovava”.