Le allergie primaverili durano 45 giorni in più a causa della crisi climatica: sintomi più intensi e i rischi. Ecco l’allarme degli esperti.
Con l’equinozio di primavera non arrivano solo sole e fiori, ma anche le temute allergie. A causa della crisi climatica, la stagione dei pollini si allunga di oltre un mese e mezzo, con sintomi sempre più intensi e duraturi, soprattutto per bambini asmatici e anziani con patologie respiratorie. Gli esperti lanciano l’allarme: ecco cosa dicono.

I cambiamenti climatici aggravano le allergie primaverili
L’aumento delle temperature medie e la riduzione dei giorni di gelo, come riportato da Today, sono tra i principali responsabili dell’allungamento della stagione dei pollini. Nel 2023, in Italia si sono registrati dieci giorni senza gelo in più rispetto alla media del trentennio 1991-2020, un dato preoccupante. Questo fenomeno è stato segnalato dalla Banca Dati Indicatori Ambientali dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che monitora l’andamento climatico e i suoi effetti sulla salute.
Vincenzo Patella, presidente della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC), ha spiegato come l’allungamento della stagione pollinica stia provocando un aumento della durata e dell’intensità dei sintomi allergici. “Meno giorni con temperature sottozero, danno più tempo alle piante di crescere e rilasciare i pollini che provocano allergie. Non solo anticipando la pollinazione primaverile di 25 giorni, ma anche prolungando quella autunnale di quasi tre settimane, con un aumento complessivo della durata della stagione dei pollini di oltre un mese e mezzo e un rilascio di carico pollinico sempre più abbondante“, ha dichiarato.
Le conseguenze sulla salute delle persone
Le stagioni polliniche più lunghe e intense hanno un impatto significativo sulla salute, soprattutto tra le persone più vulnerabili. Uno studio pubblicato su BMC Public Health ha analizzato oltre 127 mila decessi avvenuti in Michigan tra il 2006 e il 2017, evidenziando come l’esposizione prolungata a elevati livelli di polline aumenti il rischio di mortalità per malattie respiratorie croniche.
I dati mostrano che i pollini di alberi decidui e graminacee possono incrementare l’81% del rischio di mortalità per tutte le cause respiratorie croniche dopo sette giorni di esposizione, mentre i pollini di ambrosia risultano associati a un aumento del 107% della mortalità per BPCO e del 116% per altre malattie respiratorie croniche.
Questi risultati suggeriscono che l’allungamento della stagione dei pollini, dovuto al riscaldamento globale, potrebbe incidere pesantemente sulla mortalità respiratoria, soprattutto tra gli anziani. Secondo Patella: “Questi dati suggeriscono che l’aumento delle temperature e l’allungamento della stagione dei pollini, potrebbe avere un peso sempre maggiore per la mortalità respiratoria tra gli over 65″.