Omicidio Mollicone: l’Arma dei Carabinieri presenta appello contro assoluzione dei suoi militari

Omicidio Mollicone: l’Arma dei Carabinieri presenta appello contro assoluzione dei suoi militari

Dopo l’assoluzione dei militari per l’omicidio di Serena Mollicone, l’Arma dei Carabinieri presenta ricorso in appello.

Il luogotenente Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce al tempo dell’omicidio della giovane Serena Mollicone, il luogotenente Vincenzo Quatrale e l’appuntato Francesco Suprano sono i protagonisti di una nuova vicenda. Infatti, poco prima che scadessero i termini l’avvocato Maurizio Greco ha fatto appello alla sentenza di assoluzione dei tre militari.

I tre carabinieri per anni sono stati coinvolti nel processo per l’omicidio Mollicone, conclusosi con la sentenza della corte d’Assise di Cassino nel luglio del 2021 con l’assoluzione dei cinque accusati. Insieme a loro infatti erano coinvolti anche Marco Mottola, figlio dell’ex comandante e la moglie Anna Maria.

Con l’azione dell’avvocato Greco, l’Arma dei Carabinieri chiede un risarcimento pari a 200.000 euro per i danni subiti all’immagine dell’Arma stessa. La richiesta di risarcimento si aggiunge a quella di mezzo milione fatta dalla famiglia Mollicone al luogotenente Quatrale; a quella dei familiari dei brigadiere Tuzi che il giorno della scomparsa era in servizio e in seguito è morto suicida; e infine, a quella dello zio di Serena che ha richiesto un risarcimento di 5,5 milioni.

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Le vicende dell’omicidio Mollicone

La triste vicenda della giovane Serena Mollicone inizia nel comune di Arci in provincia di Frosinone, il primo giugno del 2001 con la scomparsa della ragazza diciottenne. Il suo corpo viene ritrovato qualche giorno dopo in un bosco nel comune di Fontana Liri, in località Fonte Cupa. Dopo 45 giorni di indagini fatte dai carabinieri di Pontecorvo, non c’è ancora nessuna svolta, perciò si decide di far proseguire le indagini all’Unità Analisi Crimine Violento della polizia di Stato.

La vera svolta arriva solo nel 2008, dopo il suicidio del brigadiere Santino Tuzi; l’estremo gesto è avvenuto dopo la sua confessione. Il brigadiere era in servizio il giorno della scomparsa di Serena, che l’ha vista entrare in caserma, ma non l’ha mai vista uscire. La vicenda continua tra richieste di archiviazione e depistaggi, fino ad arrivare al processo del 2021 finito con l’assoluzione dei cinque condannati, in cui non sono mancate in aula le grida “vergogna”.

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