Arresto Andrea Bonafede, cos’è che non torna?

Arresto Andrea Bonafede, cos’è che non torna?

Anche il vero Andrea Bonafede è stato arrestato per associazione mafiosa, ma la sua versione dei fatti non è credibile.

Anche il prestanome e “uomo d’onore” di Matteo Messina Denaro, Andrea Bonafede, è stato arrestato dai carabinieri del Ros, nella casa della sorella a Campobello di Mazara. Secondo quanto scritto dal giudice istruttore, era un affiliato riservato al servizio diretto del capomafia, quando sembrava essere solo un semplice geometra con una passione per i viaggi.

Arresto, manette

“Godeva della fiducia del boss”

Al momento dell’arresto, il geometra 59enne non ha detto una parola e si è limitato ad entrare in silenzio nell’auto dei carabinieri. Poi, l’uomo ha riferito agli inquirenti di aver incontrato Matteo Messina Denaro per strada a Campobello di Mazara meno di un anno fa. A causa dei suoi problemi di salute, il boss gli avrebbe chiesto di fornirgli i suoi documenti e una casa dove vivere, ovvero il covo di vicolo San Vito trovato dai carabinieri.

Ma per il gip Alfredo Montalto, non credibile che il latitante si sia potuto affidare “ad un soggetto occasionalmente incontrato, non affiliato e che non vedeva da moltissimi anni, per coprire la sua identità, soprattutto nel momento in cui aveva necessità di entrare in contatto con strutture pubbliche sanitarie”.

Da ricordare in effetti che Andrea Bonafede è il nipote di Leonardo Bonafede, parte famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, che ha protetto negli ultimi anni la latitanza di Messina Denaro, “consentendogli di svolgere appieno il ruolo di capo indiscusso della consorteria di Cosa nostra operante in provincia di Trapani”. Evidente quindi che solo un associato come Andrea poteva godere della fiducia del latitante, incaricato di compiti di tale delicatezza.

Incongruenze delle date

Secondo le indagini, Bonafede avrebbe fatto da prestanome per almeno due anni, quando invece il 59enne ha affermato di aver aiutato il boss solo nell’ultimo anno. Secondo il giudice invece, avrebbe prestato per oltre due anni a Messina Denaro “identità riservata, covo sicuro, mezzi di locomozione da utilizzare per spostarsi in piena autonomia”.

Infatti Bonafede avrebbe ceduto la sua carta d’identità almeno dal 13 novembre 2020, data in cui il latitante si era infatti già sottoposto a un primo intervento chirurgico sotto falso nome. L’uomo gli avrebbe poi fornito anche due macchine: una Fiat 500 Lounge e un’Alfa Romeo Giulietta.