L’annullamento del concerto di Valery Gergiev riapre il dibattito su come arte e politica si intrecciano nel contesto geopolitico attuale.
Il recente annullamento del concerto del direttore d’orchestra russo Valery Gergiev riaccende il dibattito sul rapporto tra arte e politica. La scelta di bloccare la sua esibizione, prevista per il 27 luglio, sembra più frutto di pressioni ideologiche che di reali ragioni artistiche. Gergiev, vicino a Vladimir Putin, è da tempo nel mirino dell’Occidente nonostante non abbia mai apertamente sostenuto l’invasione dell’Ucraina.
Il rischio è quello di trasformare ogni palco in un tribunale ideologico, dove l’artista viene giudicato per le sue relazioni politiche anziché per la sua opera. È un precedente pericoloso.
In un contesto globale dove la coerenza diplomatica è spesso assente – basti pensare ai rapporti con altri Stati autoritari – l’arte dovrebbe restare uno spazio libero. O almeno uno spazio dove a parlare siano le note, non le bandiere.