Esistono segnali di crescita della presenza femminile ai vertici della finanza ma il cambiamento, pur costante, è lento e i numeri lasciano intuire che, anche in quest’ambito, il cammino delle donne sarà arduo e lungo.
L’ultimo rapporto in materia redatto dall’Autorità Bancaria Europea (EBA) evidenzia sì un graduale miglioramento dell’equilibrio di genere negli organi aziendali delle banche e delle società di investimento europee ma la presenza delle donne nei ruoli apicali resta limitata: l’11 per cento dei CEO è donna e la differenza retributiva tra uomini e donne all’interno dei Consigli di Amministrazione è superiore al 9%.
Il numero delle donne è ridotto anche nelle aree in cui si verifica la gestione diretta del capitale e nelle funzioni commerciali dove la leadership resta ancorata a modelli tradizionalmente maschili fatti di presenza fisica e performance.
La leadership femminile nell’area legale
Diversa invece la situazione nell’area legale: le tre principali banche italiane per capitalizzazione, Unicredit, Intesa San Paolo e Banco BPM, vedono tre donne general counsel, al vertice delle funzioni giuridiche.
E non si tratta di casi isolati poiché, negli ultimi anni, la tendenza degli istituti di credito ad affidare la guida del legal a donne è sempre più netta.
In una recentissima analisi del magazine “Inhousecommnity” è stato acutamente osservato come il fenomeno possa essere collegato al fatto che il ruolo legal all’interno delle banche è diventato sempre più centrale, stante la crescente attenzione degli istituti di credito per temi come la governance, la compliance e la sostenibilità.

Tutti ambiti in cui la leadership femminile, tendenzialmente più portata all’approfondimento e alla mediazione, si rivela particolarmente efficace.
Chiaro tuttavia che la scelta tutt’oggi radicata di tenere le donne lontane da quello che è il core business, la parte commerciale, rappresenta una barriera che appare, tranne luminose eccezioni, difficile da abbattere.
L’opinione di Alessandra Perrazzelli
Alessandra Perrazzelli, già Vice Direttrice Generale della Banca d’Italia, intervenendo all’evento promosso lo scorso 28 gennaio a Milano dall’European Women’s Payments Network Italy ha osservato come i dati sopra riportati confermino “la sussistenza di barriere strutturali alla managerialità femminile, tanto nel settore finanziario tradizionale, quanto nei comparti a più elevata innovatività. La tecnologia può sia essere un abilitatore – capace di offrire nuove opportunità alla compagine femminile – sia perpetuare divari e stereotipi di genere. Trascurare questi aspetti – visto in particolare lo sviluppo atteso dell’intelligenza artificiale – significa inevitabilmente ricadere nel secondo caso”.
Ne emerge una volta di più l’urgenza che le ragazze non stiamo, in ragione di stereotipi, radicati fin dall’infanzia, lontane dalle materie economiche e dalle cosiddette S.T.E.M., le ossia le specializzazioni tecnico – scientifiche.