Carlo Calenda critica il referendum sul Jobs Act, definendolo un errore. Invita governo e opposizioni a un tavolo per discutere di salari.
Nel contesto di un’Italia alle prese con problemi strutturali nel mercato del lavoro, il tema delle buste paga e delle condizioni lavorative torna centrale nel dibattito pubblico, lo sa bene Calenda. Le tensioni tra sindacati e politica si intensificano, con proposte e iniziative che rischiano di dividere più che unire. È il caso del referendum promosso dalla CGIL per abrogare parti del Jobs Act, la riforma introdotta durante il governo Renzi. Ma questa scelta ha sollevato critiche non da poco.

Le critiche di Calenda e la proposta alternativa
A prendere una posizione netta è Carlo Calenda, leader di Azione, che boccia l’iniziativa referendaria in termini chiari. “Il referendum è stato un errore innanzitutto perché da trent’anni non si raggiunge il quorum. E poi perché non si fa un referendum su una normativa complicatissima come quella sul lavoro”, ha dichiarato, in un’intervista rilasciata al Messaggero. Secondo Calenda, l’iniziativa non era altro che “la campagna elettorale di Landini per la guida del centrosinistra, che per fortuna è fallita”.
L’ex ministro dello Sviluppo economico sottolinea che mentre il mondo discute di innovazione e digitalizzazione, in Italia si cerca di “tornare indietro su norme come il Jobs act che da quando sono state varate hanno portato un milione e mezzo di occupati in più”. E rilancia: “Secondo me Landini si dovrebbe dimettere per come ha gestito la vicenda Fiat, fregandosene ampiamente, e per il fatto che invece di fare sindacato fa politica. Strilla sui salari bassi e poi firma contratti a 4 euro e mezzo all’ora”.
Il lavoro al centro del dibattito politico
Calenda mette in guardia anche sul rischio di abuso dello strumento referendario: “L’istituto referendario va riformato: se non si aumentano le firme necessarie, avremo 5 referendum all’anno. E sarà un disastro: già gli italiani non vanno a votare, così li allontaniamo ancora di più”.
Ma la parte più concreta della sua proposta arriva alla fine: “Quattordici milioni di persone hanno espresso la necessità di una discussione sui temi del lavoro. Se fossi la destra al governo, invece di fare meme sui social convocherei un tavolo con parti sociali e opposizioni per una discussione seria su come aumentare le buste paga. Cosa che Meloni aveva promesso quando disse no al salario minimo e non ha mai fatto”.