Scandalo nel carcere di Foggia: dieci agenti della polizia penitenziaria sotto indagine per violenze sui detenuti.
In un episodio che scuote le fondamenta della giustizia e dell’etica professionale, il carcere di Foggia diventa teatro di un atto di violenza inaudita.
Dieci agenti della polizia penitenziaria sono attualmente sotto inchiesta, accusati di avere perpetrato aggressioni fisiche contro due detenuti. I due sembrano abbiano agito con una crudeltà che lascia senza parole.
La complicità di un’ispettrice, che ha scelto di rimanere in disparte senza intervenire, aggiunge un ulteriore strato di gravità alla vicenda.
Il caso del carcere di Foggia: le vittime e le violenze
Al centro delle indagini vi sono le testimonianze e le prove di un’aggressione brutale ai danni di due detenuti. Uno dei quali affetto da problemi psichici.
Come riportato da Fanpage.it, quest’ultimo è stato assalito nella propria cella da almeno cinque agenti. Il detenuto, confinato in uno spazio ristretto, è stato picchiato “con crudeltà e a più riprese“.
Un’azione resa ancor più deprecabile dalla presenza di un’ispettrice di polizia che, nonostante le suppliche disperate del detenuto, ha scelto di non intervenire. L’episodio si è consumato l’11 agosto 2023 e le violenze hanno provocato al detenuto lesioni al capo, a un occhio e al torace, oltre a sofferenze fisiche e psichiche profonde.
Le manipolazioni e le minacce
In un tentativo di insabbiare l’accaduto, sono emerse azioni ancor più riprovevoli. Un ispettore e un assistente capo coordinatore hanno costretto i detenuti aggrediti a fornire dichiarazioni false.
Sotto la minaccia di trasferimento o di ulteriori ritorsioni, i detenuti sono stati forzati a sottoscrivere narrazioni che distorcevano completamente la realtà dei fatti.
Il primo detenuto è stato indotto a dichiarare di non aver assunto i propri farmaci. Attribuendo a un “scatto d’ira” personale l’intervento violento degli agenti. Mentre il secondo, segregato nella stanza del centralino, è stato costretto a sostenere di essere stato spostato per sua richiesta, a causa del comportamento del compagno di cella.