Il governo italiano ha deciso di inserire il cannabidiolo (CBD) tra le sostanze stupefacenti, senza attendere il verdetto del Tar del Lazio.
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha recentemente decretato l’inserimento del cannabidiolo (CBD) tra le sostanze stupefacenti, una mossa che ha suscitato immediatamente polemiche e preoccupazioni tra associazioni e imprenditori del settore. Il decreto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale e sarà effettivo dal 27 luglio 2024. Questa decisione arriva prima del pronunciamento del Tar del Lazio previsto per il 16 settembre 2024, accelerando una controversia già in corso da oltre un anno.
Secondo il decreto, il CBD per uso orale è ora incluso nella Tabella dei medicinali – sezione B, in conformità con il decreto del Presidente della Repubblica 309/1990. Questo significa che i prodotti contenenti CBD potranno essere venduti solo come farmaci su prescrizione medica. L’annuncio ha scatenato immediate proteste, sottolineando l’urgenza di rivedere tale normativa che sembra non tenere conto delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle evidenze scientifiche internazionali.
Le proteste delle associazioni di categoria
Le associazioni di settore, tra cui l’Ici (Imprenditori Canapa Italia), hanno espresso forti critiche verso il decreto. Marco Perduca dell’associazione Luca Coscioni ha evidenziato come il ministro Schillaci abbia ignorato le raccomandazioni dell’OMS e la vasta letteratura scientifica che supporta l’uso terapeutico del CBD. Perduca ha dichiarato che questa mossa rappresenta un ulteriore ostacolo burocratico e stigmatizzante per l’uso medico della cannabis in Italia, colpendo duramente le piccole e medie imprese del settore.
Secondo le associazioni, la decisione del ministro si basa su un’istruttoria recente dell’Istituto superiore di sanità e del Consiglio superiore di sanità, di cui però non si trovano tracce pubbliche. Questo alimenta il sospetto che la manovra legislativa possa favorire le grandi case farmaceutiche, restringendo il mercato del CBD e penalizzando i piccoli produttori.
Impatti economici e sociali
L’inclusione del CBD tra le sostanze stupefacenti rappresenta un duro colpo per un settore che ha mostrato una crescita costante, anche durante la pandemia. Fino ad ora, prodotti a base di CBD con basse concentrazioni potevano essere venduti liberamente in erboristerie, tabaccai e canapa shop. Con la nuova regolamentazione, queste attività vedranno una drastica riduzione delle vendite, portando a potenziali chiusure e perdita di posti di lavoro.
Un sondaggio condotto dall’Associazione Luca Coscioni aveva già mostrato che la maggioranza degli utenti di prodotti a base di CBD teme un peggioramento della qualità della vita e delle condizioni di salute a causa delle nuove restrizioni. La prospettiva di dover ricorrere a canali di approvvigionamento non ufficiali o al mercato nero è una preoccupazione crescente tra gli utenti abituali.