Gianni Alemanno denuncia in una lettera da Rebibbia le condizioni estreme nelle carceri italiane: caldo estremo e sovraffolamento.
Mentre Giorgia Meloni incontra Papa Leone XIV, lontano dai riflettori si alza una voce che arriva dalle celle roventi del carcere di Rebibbia: è quella di Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma e ministro, detenuto da oltre 180 giorni. In una lettera, come riportato da Dire.it, letta in Aula dal senatore Pd Michele Fina denuncia le condizioni disumane vissute dai detenuti italiani.

Il problema del sovraffollamento
Oltre al caldo, spiega Dire.it, Gianni Alemanno denuncia la drammatica situazione del sovraffollamento. Parla di celle in cui le persone sono “accatastate una sull’altra“, con detenuti malati che restano nel reparto per giorni, come nel caso di “una persona malata di scabbia“.
“Effetto forno”: la denuncia di Alemanno dalle carceri italiane
“Arriva il momento più difficile, il caldo che alimenta il sovraffollamento, ma la politica dorme con l’aria condizionata“. Con queste parole Gianni Alemanno introduce il tema centrale della sua denuncia: il caldo insostenibile che trasforma le celle in forni.
Nel diario scritto il 29 giugno, racconta come il calore aumenti man mano che si sale di piano nel carcere: “Se uno studente volesse sperimentare il concetto fisico di ‘gradiente termico’ dovrebbe venire qui a Rebibbia e spostarsi dal piano terra al primo, fino al secondo e ultimo piano“. La cella dell’ex sindaco di Roma, esposta al sole sul soffitto e su due lati, rende l'”effetto forno” una realtà quotidiana.
A peggiorare la situazione è la scarsità di strumenti per affrontare il caldo: “non più di due ventilatori da tavolo a cella”, scrive, e nel suo caso solo uno, a causa delle “lungaggini amministrative della casa circondariale“. La stessa sorte, inoltre, tocca anche agli agenti penitenziari.
Secondo i dati citati, conclude, nel 2024 si sono suicidate 71 persone detenute e nei primi sei mesi del 2025 già 38, “un suicidio ogni cinque giorni”. Ebbene, scrive l’ex sindaco: “Chi muore in carcere, spesso, muore due volte, nella cella e nell’indifferenza collettiva“.