Ad oggi sono passati 40 giorni dalla morte di Mahsa Amini: centinaia di persone si sono recate nel cimitero in cui è sepolta la 22enne.
Ad oggi sono trascorsi quaranta giorni dalla morte della giovane Mahsa Amini, arrestata a Teheran per aver scattato una foto con una ciocca di capelli che sporgeva dal velo. Sono state molteplici le proteste per la sua morte, occasione in cui sono morte anche altre ragazze. Le parole simbolo della protesta: “Donne, vita, libertà”.
Nella mattinata di oggi, centinaia di persone si sono recate al cimitero Aichin di Saqqez, nella provincia del Kurdistan iraniano. Lì si trova sepolta Mahsa Amini. Come da tradizione, il quarantesimo giorno della morte di una persona è considerato l’ultimo del lutto.
La folla dei protestanti al cimitero
Le urla della folla al cimiterO: “Donne, vita , libertà”, “Abbasso il dittatore”, “Mahsa hai lottato e lotteremo anche noi”. Alla luce di questa situazione, il governo di Teheran aveva minacciato di chiudere le strade che portavano al cimitero per evitare manifestazioni di protesta.
Il bilancio dei morti durante la manifestazione
Secondo l’Organizzazione per i diritti umani, i morti a causa delle manifestazioni per la morte di Masha Amini sono 76. Per settimane sono continuate le manifestazioni in segno di protesta per la morte della pakistana Masha Amini. Tantissime donne sono scese nelle piazze iraniane per protestare contro la morte della 22enne Masha Amini, deceduta lo scorso 16 settembre in carcere a Teheran. La polizia l’aveva arrestata in quanto non avrebbe indossato correttamente il velo.
Per diverse settimane gli iraniani hanno protestato contro il regime degli Ayatollah. Le persone decedute durante le manifestazioni sono a quota 41. Si tratta perlopiù di manifestanti e alcuni membri delle forze dell’ordine. Secondo l’organizzazione per i diritti umani Iran Human Rights sarebbero almeno 76 i morti. Gli arresti sino a quota 450, condotti tutti a Mazandaran, una provincia settentrionale dell’Iran durante gli ultimi giorni di proteste. A riferirlo il procuratore capo locale, citato successivamente dal Guardian.