Che cos’è la malattia di Natale e perché si chiama così

Che cos’è la malattia di Natale e perché si chiama così

Tutto quello che c’è da sapere sulla malattia di Natale (non legata direttamente alla festività): dalle origini fino ai sintomi e le cure.

La malattia di Natale, nota anche come malattia di Christmas o emofilia B, è una rara condizione genetica che compromette la capacità del sangue di formare coaguli, aumentando il rischio di emorragie potenzialmente pericolose per la vita.

Nonostante il nome evocativo, questa malattia non ha quasi nulla a che fare con le festività natalizie, ma deve il suo appellativo a una combinazione di coincidenze storiche.

Le origini della malattia di Natale: perché si chiama così

La malattia di Natale deve il suo nome a Stephen Christmas, come riportato da Fanpage, un bambino inglese in cui fu diagnosticata per la prima volta nel 1952.

Questa scoperta segnò un importante passo avanti nella comprensione dell’emofilia. Prima di allora, si riteneva che esistesse un unico tipo di emofilia, oggi noto come emofilia A.

I ricercatori, tuttavia, scoprirono che Stephen non soffriva della carenza del fattore VIII della coagulazione tipica dell’emofilia A, ma di un deficit del fattore IX, aprendo così la strada alla classificazione dell’emofilia B.

La malattia è causata da mutazioni genetiche che interessano il gene F9, situato sul cromosoma X. Questo implica che la malattia colpisce prevalentemente gli uomini, mentre le donne portatrici sono generalmente asintomatiche o presentano sintomi più lievi.

Raramente, l’emofilia B può anche essere acquisita a causa della presenza di auto-anticorpi che attaccano il fattore IX.

I sintomi e le possibili cure

I sintomi della malattia di Natale possono variare da lievi a gravi: emorragie inspiegabili, sanguinamenti prolungati dopo interventi chirurgici o traumi, dolori articolari e presenza di sangue nelle urine o nelle feci. Nei casi più gravi, il rischio di emorragie spontanee, come quelle intracraniche.

La diagnosi si basa su test ematologici, come il tempo di tromboplastina parziale (PTT), che risulta prolungato nei pazienti con emofilia. Per identificare con precisione la condizione, si procede poi alla misurazione dei livelli dei fattori della coagulazione.

Il trattamento tradizionale dell’emofilia B consiste nella somministrazione del fattore IX mancante, un approccio che – pur efficace – richiede monitoraggio costante.

Negli ultimi anni, tuttavia, si sono aperte nuove prospettive grazie alla terapia genica. L’uso di virus adeno-associati per introdurre una copia corretta del gene F9 rappresenta una possibilità concreta per migliorare la qualità di vita dei pazienti.