Coronavirus, ancora polemiche sul Trivulzio: nessun tampone per il personale sanitario al lavoro nell’Istituto.
Proseguono le indagini sul Trivulzio, al centro di un caso mediatico nazionale legato al coronavirus. L’inchiesta de la Repubblica ha portato alla luce tanti, troppi dubbi legati alla gestione dei pazienti. L’ipotesi del quotidiano è che sull’alto numeri di decessi registrano nell’Istituto influiscano anche errori e scelte sbagliate dei vertici.
Coronavirus, caso Trivulzio. La denuncia: niente test per il personale
Le registrazioni pubblicate da la Repubblica sembrano confermare che qualcosa non sia andato propriamente per il verso giusto. E con il trascorrere dei giorni aumentano le testimonianze di chi denuncia atteggiamenti non proprio corretti. Arriva dalle colonne del Messaggro il racconto di un operatore sanitario.
“La domenica di Pasqua una collega infermiera di ventiquattro anni è stata portata in ospedale. Piangeva disperata, aveva la febbre a quaranta. Ha contagiato anche il fidanzato, pure lui ricoverato. Ora dicono che è colpa nostra, che abbiamo portato noi il virus in corsia, che ci hanno dato le mascherine il 23 febbraio. Ma non è così. Le mascherine ce le siamo dovute portare da casa e non hanno mai fatto tamponi, né a noi né ai pazienti”.
Le ipotesi sulla diffusione del virus nell’Istituto
L’ipotesi è che al Trivulzio l’epidemia sia esplosa per mancanza di dispositivi e norme di protezione per il personale . I dubbi riguardano i tempi di reazione. Perché le visite dei parenti non sono state interrotte di fronte ai primi casi sospetti? Già a fine marzo, secondo il Messaggero, nella struttura si registravano settanta decessi.
I ragionamenti si estendono anche alle disposizioni regionali, per le quali gli ospiti delle Rsa con sintomi simili all’influenza e Covid positivi di età superiore ai 75 anni con fragilità o patologie pregresse vanno curati nella stessa struttura e non in ospedale.
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