Svolta nel linguaggio: Meloni non è più “il” presidente, ma “la” presidente. Abolito lo Schwa
Il linguaggio non è un entità statica, bensì uno strumento in costante movimento, che consente di comunicare significati in un mondo che cambia. E, quindi, è normale che cambino anche parole e locuzioni. Per questo riveste una certa importante la presa di posizione dell’Accademia della Crusca, ente che sovrintende al corretto e moderno uso della lingua italiana.
Interrogata dal Comitato Pari Opportunità della Corte di Cassazione, la Crusca ha stabilito con chiarezza la necessità di usare la parità di genere nella stesura degli atti giudiziari: sarà quindi necessario fare ricorso a parole poco diffuse come la magistrata, la pubblica ministera, la giudice, la questora e anche la presidente. Piaccia o meno a “il” presidente Giorgia Meloni.
Il maschile continuerà a essere usato come plurale
Con la stessa pronuncia, la Crusca ha invece messo al bando espedienti inclusivi di recente introduzione, come ad esempio le duplicazioni retoriche (“I cittadini e le cittadini”), ma anche gli asterischi utilizzati al posto delle desinenze di valore morfologico (ad esempio “tutt* quant*). Il maschile continuerà ad essere utilizzato anche come plurale, perché, spiega la Crusca, “il linguaggio giuridico non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogenenità e all’idioletto”. In altre lingue il problema non si pone: ad esempio l’inglese utilizza il “they” (loro) anche come forma indistinta per genere della terza persona singolare. Chi si riconosce come non-binario, ha la facoltà di sfuggire alla divisione maschio-femmina chiedendo appunto di usare i pronomi “they” e “them”.
In italiano, però, questa facoltà non esiste e, secondo la Crusca, a fronte di una lingua che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il plurale maschile non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è un modo di includere e non di prevaricare”.
Al bando anche lo schwa, molto di moda per bypassare le divisioni di genere. Come efficacemente spiegato dalla Crusca, la lingua è prima di tutto parlata e quindi non ha senso usare un segno grafico che non ha corrispettivo fonetico nell’italiano. Anche in questo caso con l’inglese è diverso, perché lo schwa è il simbolo utilizzato per rappresentare lettere atone come la a di about o la e di taken. In Italia non abbiamo nulla del genere, almeno che non ci si voglia divertire a spulciare tra i dialetti, soprattutto del meridione.
Stop agli articoli prima del cognome
Un’altra presa di posizione piuttosto significativa, che riguarda per estensione anche il linguaggio giornalistico, è l’abolizione degli articoli prima del cognome. Seppure talvolta la si usi anche con gli uomini (ad esempio nella frase “la famosa novella del Verga”), il suo impiego più diffuso è quando si citano donne col solo cognome: gli articoli di politica pullulano infatti di “la Meloni” e “la Schlein”, un prassi derivante soprattutto dalle regioni del Nord ma ormai diffusa ovunque. Ecco, la Crusca ci invita al cambiamento: pur considerando “scarsamente fondata” l’opinione di chi ci vede una discriminazione, all’Accademia prendono atto del fatto che questa idea si è largamente diffusa nella popolazione e quindi va rispettata. Possibilmente anche dalle dirette interessate.