I passi che hanno portato alla crisi dell’ex Ilva. Dall’immunità per ArcelorMittal del governo Renzi allo scontro di Di Maio.
ROMA – Di chi è la colpa della crisi dell’Ilva? Difficile al momento dare le responsabilità ad un politico (o partito) preciso visto che la vicenda ha attraversato diverse legislazioni senza, però, riuscire a trovare una soluzione. E il ‘tirare acqua al proprio mulino’ da parte di tutti i leader di questo governo non fa sicuramente ai lavoratori che rischiano il posto dopo decisione di ArcelorMittal di abbandonare le trattative di acquisto.
Gli albori della vicenda
I primi passi di questa vicenda risalgono al 2012 quando l’Ilva è stata messa sotto sequestro. Un’ordinanza che non consente allo stabilimento di essere gestito senza le necessarie tutele legali fino alla conclusione del piano di risanamento ambientale.
E tre anni dopo il governo Renzi ha varato il decreto ‘salva Ilva’. Un provvedimento che nell’articolo 2 prevedeva l’immunità per chi sarebbe subentrato nella gestione dell’acciaieria. Una norma che metteva in salvo da possibili sanzioni penali il commissario straordinario o la multinazionale che si prendeva in ‘affitto’ questa azienda in attesa dell’acquisto definitivo. E non si sono registrati problemi fino all’entrata del nuovo governo M5s-Lega con Di Maio al lavoro per l’abolizione di questo scudo penale.
Lo scontro con Di Maio
Proprio l’intenzione di eliminare lo scudo penale ha portato allo scontro tra Di Maio e l’ArcelorMittal. Da ministro del Lavoro il leader M5s si è messo subito al lavoro per cancellare l’immunità. Un provvedimento destinato ad entrare in vigore il 6 settembre 2019 ma la caduta del governo giallo-verde ha portato un rinvio dell’approvazione del decreto crescita.
La norma, però, è ufficialmente diventata legge il 3 novembre. E il giorno dopo la multinazionale ha fatto sapere la propria intenzione di lasciare il proprio ruolo di gestore dell’ex Ilva.
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