Dalla diffusione alla lotta: strategie per fronteggiare la crescente epidemia di peste suina africana.
Nel 2022, l’Italia ha affrontato il ritorno della peste suina africana (PSA), un virus letale che minaccia gravemente l’industria suinicola e l’equilibrio ecologico. Dopo cinquant’anni di assenza, questo virus ha messo a rischio la sopravvivenza dell’industria suinicola, compresi i rinomati produttori di salumi, con perdite che si avvicinano al miliardo di euro in termini di export.
La PSA, una malattia virale che colpisce suini e cinghiali, ha fatto la sua riapparizione in Italia agli inizi del 2022. I primi casi sono stati individuati in Piemonte e Liguria, vicino a grandi arterie stradali. Da lì, la malattia si è diffusa rapidamente nell’Appennino, estendendosi fino alle regioni del Pavese, Lodigiano e Piacentino, avvicinandosi pericolosamente agli allevamenti della Pianura Padana.
Il virus si presume sia stato introdotto involontariamente in Italia tramite il trasporto di animali dall’Est Europa o attraverso resti di salumi contaminati gettati nei rifiuti. L’incubazione del virus e l’ampia mobilità dei cinghiali hanno facilitato la sua diffusione, creando una situazione critica per le autorità sanitarie e ambientali.
Peste suina africana: impatto sul settore suinicolo
La PSA non solo rappresenta una minaccia per la vita degli animali, ma ha anche un impatto devastante sull’economia. L’industria suinicola italiana, che vanta 6,5 milioni di suini e una ricca tradizione nella produzione di salumi, si trova ora a fronteggiare una crisi senza precedenti.
Le perdite economiche, dovute principalmente alla diminuzione dell’export, hanno raggiunto cifre astronomiche. Questo mette a rischio non solo le grandi aziende, ma anche i piccoli produttori locali.
Strategie di contenimento del virus
Per combattere la diffusione della PSA, il Ministero della Salute italiano ha adottato diverse misure. Dopo la nomina di un Commissario ad hoc, sono stati elaborati piani per recintare le aree colpite e per ridurre il numero di cinghiali, che sono i principali vettori della malattia. Questi piani includono la collaborazione di cacciatori, guardie forestali e persino l’esercito.
Il veterinario Giancarlo Belluzzi sottolinea l’importanza di agire rapidamente per depopolare le aree infette e poi procedere all’eradicazione della malattia. Tuttavia, le stime indicano che questo processo potrebbe richiedere almeno cinque anni.