Un nuovo testimone ha sottolineato alcuni dettagli che potrebbero contribuire alla risoluzione del caso dopo oltre tre decenni.
Giuseppe Macinati è stato intervistato in esclusiva da Tgcom24 e ha fatto alcune rivelazioni pesanti sul famoso delitto di via Poma. Figlio di Mario Macinati, factotum dell’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno nei cui uffici di Roma, il 7 agosto del 1990, fu ritrovato il cadavere di Simonetta Cesaroni. La donna, di appena 20 anni, faceva la contabile lì da poco più di qualche settimana.
Il corpo di Simonetta era dilaniato da ben 29 coltellate e, da circa 33 anni, gli inquirenti sono alla ricerca di una spiegazione. Le parole di Macinati, però, potrebbero cambiare tutto: “Ho sempre pensato che a chiamare a casa mia, quel pomeriggio, fosse stata la polizia che aveva appena ritrovato il corpo. Invece, non era così”.
Il corpo scoperto prima della polizia
“Io – spiega Giuseppe Macinati – per tanti anni ho pensato che gli inquirenti avevano chiamato a casa nostra dalla sede degli Ostelli della Gioventù per cercare il presidente Caracciolo, che ne era il responsabile. Non sapevo che, invece, il corpo non era ancora stato scoperto dalla polizia. L’ho detto anche ai magistrati“.
Francesco Caracciolo diventa il principale sospettato?
“Sono cresciuto sulle sue ginocchia – ha detto Macinati su Francesco Caracciolo -. Era una brava persona, vecchio stile, perbene, integerrimo sul lavoro. Era pure un po’ nobile, aveva una educazione ferrea, rigida. Chi lo conosceva bene non ha mai pensato a tutte le cose scritte sui giornali l’anno scorso, e cioè che poteva essere stato lui a uccidere. Non credo che ne fosse capace“.
“A me – conclude Macinati – dispiace tantissimo per la famiglia di questa ragazza. Se potessi, farei di tutto per aiutare. Però, è passato tantissimo tempo, uno non può ricordarsi bene le cose dopo tutti questi anni. Forse, se me lo avessero chiesto prima, nell’imminenza dei fatti, l’assassino non sarebbe libero”.