Come l’Alzheimer danneggia il cervello in due fasi distinte. Una nuova ricerca rivela i cambiamenti cellulari iniziali.
Negli ultimi anni, importanti progressi nella mappatura cerebrale hanno rivelato che l’Alzheimer può danneggiare il cervello in due fasi specifiche. Secondo uno studio condotto da scienziati e pubblicato su Nature Neuroscience, le prime alterazioni cerebrali della malattia si verificano in modo lento e silenzioso, concentrandosi su cellule particolarmente vulnerabili.
Questa prima fase non causa subito sintomi evidenti, come i tipici disturbi della memoria. Tuttavia, la seconda fase dell’Alzheimer è molto più rapida e distruttiva, portando a un danno esteso che si manifesta con sintomi e con l’accumulo di placche amiloidi e grovigli neurofibrillari.
Intercettare i cambiamenti cerebrali nelle prime fasi dell’Alzheimer
«Una delle maggiori sfide nella diagnosi e nel trattamento dell’Alzheimer è che gran parte dei danni al cervello si verifica ben prima che si manifestino segni e sintomi. La capacità di rilevare questi cambiamenti precoci significa che, per la prima volta, si potrà vedere cosa sta accadendo al cervello di una persona durante i primi periodi della malattia e capire se questa persona ha imboccato il binario della demenza alzheimeriana», spiega Richard J. Hodes, direttore del National Institute on Aging USA.
Il nuovo studio si è concentrato sulle cellule del giro temporale medio, una regione della corteccia cerebrale coinvolta in funzioni come memoria e linguaggio. Analizzando il cervello di donatori, i ricercatori sono riusciti a mappare i cambiamenti cellulari e genetici che avvengono lungo il decorso dell’Alzheimer, tracciando una precisa cronologia del danno.
I due tempi del danno cerebrale: primi segnali e impatto avanzato
L’Alzheimer sembra caratterizzarsi per due distinti “tempi” di progressione: una prima fase di danno graduale e una seconda fase molto più rapida e devastante. Inizialmente, si osserva un lento accumulo di placche amiloidi, l’attivazione del sistema immunitario e la perdita di neuroni inibitori, elementi che creano un ambiente cerebrale vulnerabile senza però sintomi apparenti.
Quando la malattia progredisce alla seconda fase, il danno accelera con una vasta morte cellulare e un accumulo accelerato delle placche, portando all’insorgere dei classici sintomi dell’Alzheimer.
Questa scoperta mette in discussione le teorie precedenti, secondo cui il danno all’interno del cervello sarebbe graduale lungo tutte le fasi. Gli scienziati ipotizzano che sia la perdita dei neuroni inibitori di somatostatina a scatenare l’interruzione dei circuiti neuronali, facilitando così la degenerazione cerebrale.
Come spiega John Ngai, direttore della BRAIN Initiative, «questa ricerca dimostra quanto potenti nuove tecnologie stiano cambiando il nostro modo di comprendere malattie come l’Alzheimer. Con questi strumenti, gli scienziati sono stati in grado di rilevare i primi cambiamenti cellulari nel cervello per creare un quadro più completo di ciò che accade durante l’intero corso della malattia». Studi come questo stanno offrendo nuove prospettive per trattamenti che possano intervenire nelle diverse fasi dell’Alzheimer, con l’obiettivo di rallentarne la progressione e migliorare la qualità della vita delle persone colpite.