Il centrocampista Edoardo Bove, racconta la sua esperienza dopo il malore in campo e le prospettive per un possibile ritorno.
Il mondo del calcio è spesso teatro di emozioni intense, sia per i tifosi che per i giocatori. Tuttavia, ci sono momenti in cui l’attenzione si sposta dalle prestazioni sul campo a eventi che riguardano la salute e la vita degli atleti. Uno di questi casi ha coinvolto Edoardo Bove, centrocampista della Fiorentina, che ha vissuto un episodio drammatico durante una partita di Serie A.

Il malore in campo e l’intervento immediato
Era il 1° dicembre 2024, durante la partita tra Fiorentina e Inter allo stadio Artemio Franchi di Firenze, quando Bove si è improvvisamente accasciato al suolo. I compagni di squadra e gli avversari hanno immediatamente richiamato l’attenzione dello staff medico, che è intervenuto prontamente per prestare i primi soccorsi. La rapidità dell’intervento è stata cruciale per stabilizzare le condizioni del giocatore, che è stato successivamente trasportato in ospedale per accertamenti più approfonditi.
Dopo una serie di esami, i medici hanno deciso di impiantare a Bove un defibrillatore sottocutaneo, un dispositivo che monitora continuamente il ritmo cardiaco e interviene in caso di anomalie. Questa scelta è stata fatta per garantire la sicurezza del giocatore nella vita quotidiana, considerando la gravità dell’episodio vissuto. Tuttavia, la presenza di un defibrillatore rappresenta una complicazione per chi desidera praticare sport a livello agonistico, soprattutto in Italia, dove le normative sono particolarmente rigide in materia.
In una recente intervista nel podcast “Passa dal BSMT” di Gianluca Gazzoli, Bove ha condiviso le sue riflessioni sul futuro. Ha spiegato che, secondo la legge italiana, non è consentito praticare sport agonistico con un defibrillatore impiantato. Tuttavia, in altri paesi, è possibile ottenere l’idoneità sportiva assumendosi determinate responsabilità.
“Il defibrillatore non ti consente di fare un determinato sport a livello agonistico, non di non avere il certificato agonistico. Naturalmente per la legge italiana giocare col defibrillatore non è consentito, quindi nel caso mantenessi il defibrillatore non potrò giocare. All’estero se firmi ti prendi la responsabilità. Avrò da fare delle visite importanti che mi diranno se ci fosse una possibilità di toglierlo e che controlli devo fare. Non mi precludo niente. Alla fine conta la mia salute mentale, perché se io non mi sento sicuro senza defibrillatore si parla del niente”.
Bove ha sottolineato anche l’incertezza che sta vivendo, senza ancora una diagnosi definitiva.
“Ancora non ho avuto una diagnosi vera e propria e questo è quasi peggio per me, vivo nell’incertezza e tra alti e bassi. Un giorno sto bene, un giorno dopo arriva il risultato di una visita. Per me il calcio è sempre stata la mia strada. Adesso sto iniziando a vivere possiamo dire, perché vivo una vita completamente differente. È bello perché ho più libertà ma allo stesso tempo sento di non essere più l’Edoardo di prima”.
Bove: il desiderio di tornare in campo
Nonostante le difficoltà, Bove non ha perso la speranza di tornare a giocare a calcio.
“Proverò a iniziare di nuovo a giocare, lo devo alla mia famiglia e ai sacrifici che ho fatto, ma anche per l’età che ho. Ovviamente devo avere l’ok dei dottori”.
Ha poi ricordato il momento del malore e la paura che ha vissuto, spiegando come, inizialmente, non si fosse reso conto della gravità della situazione.
“Mi ricordo anche le azioni che sono successe prima. Mi ricordo di quel quarto d’ora. Quando Lautaro ha segnato e hanno annullato il gol sentivo già la testa girare. Ma non sentivo il cuore battere di più. Pensavo che fosse dovuto all’alimentazione, non sentivo in petto niente. Mi sono accasciato per far finta di allacciarmi le scarpe per cercare di capire. Quando mi sono rialzato sono andato giù”.
La chiamata di Eriksen e il supporto ricevuto
Tra i tanti messaggi di vicinanza ricevuti, uno dei più significativi è stato quello di Christian Eriksen, il centrocampista danese che nel 2021 ha vissuto un’esperienza simile durante una partita degli Europei.
“Mi ha chiamato subito, non lo conoscevo. È stato carino, mi ha dimostrato subito la sua vicinanza. Alla fine c’è una sorta di vicinanza per quello che uno vive. Mi ha detto che la prima cosa ora è stare tranquillo, riposarmi e stare con la mia famiglia”.
Bove ha anche parlato del dolore vissuto dalla sua famiglia e di quanto sia stato difficile per loro affrontare la situazione.
“Quando vedi i tuoi cari in difficoltà ti senti impotente ed è quello che mi ha fatto star male. Poi sono uscite tante notizie non vere sulla mia situazione, ognuno cercava di dire la sua, minando la tranquillità dei miei. Essendo un personaggio pubblico sono abituato a questo, ma le persone al mio fianco no e questo mi ha fatto male, perché non ho potuto far niente per aiutarle”.
La storia di Edoardo Bove è un potente promemoria delle imprevedibili sfide che la vita può presentare, anche per atleti professionisti. La sua determinazione a tornare in campo, nonostante le avversità, è fonte di ispirazione per molti. Mentre il suo futuro nel calcio agonistico rimane incerto, una cosa è chiara: la passione e la resilienza di Bove continueranno a guidarlo, indipendentemente dal percorso che sceglierà di intraprendere.