Tutto quello che c’è da sapere sulle ferie: sono un diritto o fanno capo a una decisione aziendale? I dettagli della questione.
In vista delle vacanze, si riaccende uno dei dibattiti più antichi in assoluto, ossia quello delle ferie: sono davvero un diritto inviolabile o una concessione aziendale soggetta a condizioni? La domanda interessa milioni di italiani e, per tale ragione, è importante conoscere le regole che disciplinano il diritto alle ferie al fine di evitare malintesi e tutelare le proprie esigenze.
Le ferie sono un diritto, ma vanno concordate
In Italia, il diritto alle ferie è sancito dalla Costituzione, dal Codice Civile e dal decreto legislativo n. 66 del 2003.
Ogni lavoratore ha diritto ad almeno quattro settimane di ferie retribuite ogni anno, due delle quali devono essere utilizzate entro i 12 mesi di maturazione, mentre le restanti possono essere godute entro i successivi 18 mesi. Le ferie non possono essere monetizzate, tranne nel caso in cui il rapporto di lavoro cessi prima della fruizione delle stesse.

Il periodo di ferie maturato dipende dai mesi effettivamente lavorati. Per chi è stato assunto da poco, le ferie spettano in modo proporzionale al tempo trascorso in azienda.
C’è da dire, però, che è possibile, previo accordo con il datore di lavoro, richiederne un anticipo. Le aziende possono – inoltre – stabilire chiusure collettive – frequenti nei mesi estivi – obbligando i dipendenti a fruire delle ferie in quel periodo. Una pratica legittima, ma che – in alcuni casi – può entrare in contrasto con le preferenze personali dei lavoratori.
Chi decide quando si va in ferie?
Secondo quanto sancito dall’articolo 2109 del Codice Civile, è il datore di lavoro a stabilire il periodo in cui il lavoratore può usufruire delle ferie, ma deve farlo tenendo conto anche delle esigenze del dipendente.
Nel caso in cui le ferie siano negate sistematicamente senza giustificato motivo, il lavoratore può rivolgersi alla Direzione Territoriale del Lavoro per segnalare l’irregolarità.
Il rifiuto ingiustificato, infatti, può essere ricondotto ad una violazione contrattuale e da ciò possono nascere delle sanzioni economiche a carico dell’azienda (che possono partire da un minimo di 130 euro fino ad arrivare ad un massimo di 780 euro), nonché la possibilità per il dipendente di chiedere la risoluzione del contratto per giusta causa.