Sui figli delle coppie omogenitoriali si sta combattendo una battaglia politica, che ha al centro lo scontro sulla gestazione per altri (GPA)
L’impressionante astensionismo delle ultime tornate elettorali dice chiaramente che per un’ampia parte degli italiani votare è inutile, “tanto sono tutti uguali”. Quasi a voler smentire questa diffusa convinzione, l’insediamento del governo Meloni ha dato il via una raffica di scontri ideologici con l’opposizione, non più cruenti del passato, ma certamente più frequenti. Dall’incauto esordio sui rave fino al tetto sul contante, siamo passati per i migranti e ora per l’aspra polemica sui figli delle coppie omogenitoriali.
Il Senato boccia il Certificato europeo di filiazione – cosa è successo
Prima di tutto, i fatti. La Commissione Politiche Europee del Senato ha bocciato la proposta di un regolamento europeo che mirava a vincolare gli stati membri all’adozione del Certificato europeo di filiazione. La sua introduzione avrebbe uniformato in tutti i Paesi membri lo status dei figli di due padri o due madri, che attualmente in alcuni stati sono riconosciuti e in altri no. La loro situazione non cambierà, perché per far passare il provvedimento sarebbe servita l’unanimità, mentre al no dell’Italia probabilmente seguiranno quelli di Polonia e Ungheria. E già si grida alla “deriva orbaniana” del governo Meloni. La presa di posizione del Senato segue di poche ore quella del ministro dell’Interno Piantedosi, che ha imposto al Sindaco di Milano Sala di sospendere il riconoscimento di questi bambini. Il Comune meneghino si era inserito in un vuoto normativo, sul quale però lo scorso dicembre si è espressa la Corte Costituzionale, indicando nell’adozione la via maestra per conferire lo status di genitori in questi casi.
Come spesso accade in questi frangenti, la Consulta ha ributtato la palla nel campo del legislatore, perché spetta alla politica produrre una legge che regolamenti in maniera chiara questa delicatissima materia. Proprio per questo, non sarà semplice arrivare a sciogliere un garbuglio che ha il suo nodo centrale nella gestazione per altri (GPA). La destra teme infatti che il riconoscimento dei figli avuti in questo modo sia il primo passo per legalizzare anche la maternità surrogata, che oggi è vietata in Italia, mentre è permessa in altri Paesi. Ciò pone il serio problema dei nostri connazionali che, dopo avere avuto un figlio all’estero con questi metodi, tornano in Italia e giustamente chiedono che la prole abbia adeguati status e diritti, senza passare per la tortuosa via dell’adozione (oltretutto proposta dalla Cassazione solo per “casi speciali”). Su questo la sinistra spinge per proseguire sulla “strada di civiltà” che ha avuto in Milano una sorta di guida e non a caso lo stesso Sala si candida a capeggiare la battaglia.
Tra le due posizioni, radicalmente contrapposte, è possibile e doveroso trovare una regolamentazione che tuteli tutti i diritti: quelli del bambino, comunque sia concepito, e anche quelli dei genitori, non solo omosessuali, ma anche eterosessuali che, per varie ragioni, non possono procreare in maniera tradizionale. E’ comprensibile che la GPA solleciti forti reazioni, riguardando il legame primordiale tra madre e nascituro che è all’origine della vita. Tuttavia, un approccio solo ideologico non ci condurrebbe lontano. Con maggiore pragmatismo, bisogna riconoscere un tratto di ambiguità: questa pratica può rappresentare una forma di sfruttamento estremo delle donne che non hanno altro mezzo di sostentamento (da qui la sprezzante definizione di “utero in affitto”) che bisogna assolutamente impedire, ma in altri casi può invece essere un gesto di altissima generosità da parte di chi vuole aiutare chi non può avere figli, permettendo di realizzare un sogno.
Per uscire in maniera positiva da questo estenuante dibattito, servirebbe appunto dismettere i rispettivi panni di conservatori e progressisti, per affidarsi ai consigli della scienza e al senso di responsabilità che sarebbe richiesto ai rappresentanti del popolo. Solo così si può produrre una legge che ponga gli opportuni paletti, distinguendo tra lecito e illecito. Consentiteci di manifestare un po’ di scetticismo, visto che la maggioranza pare davvero poco incline al dialogo e la minoranza poco capace di affermare i propri convincimenti.
Lo stesso deputato Pd Alessandro Zan, che oggi ha gioco facile nel dire “ormai siamo alla destra ungherese”, dovrebbe ricordare come il ddl sull’omofobia che porta il suo nome sia naufragato in Parlamento, quando i Dem facevano parte della maggioranza. Lo stesso vale per la legge sul fine vita, attesa da tempo: ancora oggi, molti italiani sono costretti ad andare all’estero sia per risolvere un problema di procreazione che per porre fine in modo dignitoso e volontario alla propria vita. Sui diritti civili – ma non solo – c’è ancora tanta strada da fare.