“Il Seme del fico sacro” è il titolo dell’ultimo film del regista iraniano Mohammad Rasoulof, candidato ai Golden Globe e all’Oscar e vincitore del Festival di Cannes.
Il titolo del film fa riferimento a una particolare pianta di fico e, all’inizio del film, il regista spiega in sovraimpressione perché questo albero sia stato inserito nel titolo: “In alcune isole meridionali dell’Iran ci sono alcuni vecchi alberi di fichi sacri, il cui ciclo di vita ha attirato la mia attenzione: i loro semi cadono sui rami di altri alberi. Quei semi germogliano e le loro radici si muovono verso il terreno: quando le radici raggiungono il terreno, il fico sacro si regge sulle proprie gambe e i suoi rami strangolano l’albero ospite.” Chiara la metafora della situazione politica iraniana e la speranza che il vecchio regime venga soffocato da tutto ciò che è nuovo e sacro.
La persecuzione di Rasoulof
Rasoulof appartiene alla schiera di cineasti iraniani perseguitati: il film è stato girato in clandestinità a causa della censura. Nel gennaio del 2024, a due terzi delle riprese, il regista ha saputo che era stata emessa nei suoi confronti una sentenza di condanna a otto anni di carcere con l’accusa di “compromettere la sicurezza del Paese” attraverso le proprie azioni; Rasoulof avrebbe dovuto anche essere fustigato, pagare una multa e vedersi confiscare i beni. Vistosi ritirare il passaporto, il regista è riuscito a lasciare clandestinamente l’Iran e a partecipare al Festival insieme alle tre protagoniste che avevano recitato a capo scoperto. Le loro famiglie e i membri della troupe rimasti in patria hanno subito pesanti minacce.
La trama del film
La trama del film, almeno in apparenza, non è complessa. Iman, un funzionario delle corti rivoluzionarie, riceve la promozione a giudice, assicurando così migliori condizioni economiche e sociali alla famiglia, composta dalla moglie e da due giovani figlie; rovescio della medaglia è l’essere sottoposti a un maggior controllo circa le frequentazioni e il rispetto dell’abbigliamento richiesto in pubblico per le donne, oltre ai pericoli cui Iman deve far fronte in ragione del suo nuovo ruolo, tanto che si vede consegnare una pistola.
Proprio in quei giorni scoppiano a Teheran le proteste del movimento “Donne, vita e libertà!” e in famiglia nascono scontri fra il padre, vincolato dal suo ruolo e le figlie che appoggiano le proteste mentre la moglie cerca di mediare. La situazione precipita quando scompare la pistola: Iman dapprima pensa a un’incursione in casa dei manifestanti ma poi sospetta della moglie e delle figlie e diventa preda di paranoie e violenza che conducono a un epilogo tragico.

Le riflessioni di Rasoulof
La storia ne sottende però una seconda, più profonda. Rasoulof vuole raccontare come la fede di Iman “da sentimento religioso si trasformi in ideologia politica per diventare, poi, strumento di repressione”.Il film contiene infatti i video originali delle manifestazioni in cui si vedono corpi insanguinati a terra, colpi sparati non solo per uccidere ma anche per sfigurare e mutilare e omicidi di passanti che si limitavano a riprendere con il telefonino.
A margine del Festival, il regista ha dichiarato: “per anni mi sono chiesto: chi fa funzionare il sistema giudiziario? Che tipo di persone sono? Cosa pensano? Quali sono le loro motivazioni? Per che cosa vivono esattamente? Poi venendo io stesso interrogato, finendo più volte in tribunale e poi in prigione, ho avuto l’opportunità di osservare questa gente da vicino e provare a trovare una risposta alla mia domanda. Questo film parla delle risposte che ho trovato e del tipo di persone che ho potuto osservare.“