Bruttissima vicenda che ha coinvolto un noto pallavolista e una ragazza minorenne: punita con richieste di foto senza veli.
La richiesta di foto senza veli come “castigo”. La triste vicenda è venuta a galla dopo che la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio del pallavolista Stefano Catena per pornografia minorile. Da quanto si apprende, il giocatore è accusato di aver chiesto ad una ragazzina di 11 anni, che allenava, foto in cui era ritratta nuda. L’uomo avrebbe fatto le sue richieste allo scopo di “punirla” a seguito di piccoli atti di autolesionismo.
Foto senza veli per “castigo”: la triste vicenda
La vicenda relativa alla ragazzina e al pallavolista risale ad alcuni anni fa. Le foto farebbero riferimento al periodo tra il 2015 e il 2016. Catena si faceva inoltrare gli scatti tramite Facebook. La scusa per la prima è stata un provino per una squadra di pallavolo allo scopo di vedere quanto la giovane fosse sviluppata.
Dopo un periodo di silenzio, però, ecco che tra i due va in scena un incontro. Qui la ragazza si ritrova a svelare le sue debolezze e problematiche. A quel punto il pallavolista decide di sfruttare l’occasione per chiederle di inviargli una foto per ogni “errore” commesso nelle sue giornate.
A seguito di altre immagini, la ragazzina decide di fermarsi e di raccontare, ad un corso di teatro, che una sua amica aveva avuto una relazione con un giocatore di 22 anni. A quel punto ecco i sospetti con la sua insegnante che si rivolge direttamente ai genitori sottolineando i suoi dubbi su una possibile violenza in corsa. Da qui, la scoperta.
Al momento per Catena, la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per pornografia minorile.
Le parole della vittima
A fare particolare scalpore sono state le parole della vittima riprese dal Corriere della Sera, edizione romana. “I miei genitori stavano attraversano un momento difficile e io avevo paura che fosse colpa mia. Per questo mi graffiavo, mi facevo piccoli tagli. L’allenatore si arrabbiava e mi ordinava di mandargli una mia foto nuda ogni volta che lo facevo: era un castigo”. Questa testimonianza avrebbe fatto luce sull’intero caso.