Una donna coraggiosa che lotta per sé e per tutte le vittime di violenza. Il processo degli stupri di Mazan si conclude con condanne esemplari.
Il processo degli stupri di Mazan
Mercoledì 18 dicembre ad Avignone si è concluso il “processo degli stupri di Mazan”, con una serie di condanne dai 3 fino ai 20 anni di carcere.
Mazan, un piccolo villaggio nel Sud della Francia, è diventato tristemente noto per gli orrendi crimini commessi da Dominique Pelicot, marito di Gisèle, e da decine di altri uomini. Per oltre dieci anni, Gisèle è stata vittima di abusi sistematici e organizzati.
La figura di Dominique Pelicot e i crimini commessi
Dominique Pelicot, 72 anni, è stato condannato per aver drogato la moglie con sonniferi somministrati durante i pasti, violentandola nel sonno e invitando altri uomini a fare lo stesso. Gli abusi, ripresi in oltre 200 video, coinvolgevano persone di diversa estrazione sociale: pensionati, artigiani, camionisti, un soldato, una guardia penitenziaria, un pompiere, un idraulico e un elettricista.
Nonostante la pena di 20 anni inflitta a Pelicot possa sembrare insufficiente, essa rappresenta il massimo consentito dalla legge francese per i casi di stupro.
Gisèle Pelicot: un simbolo di resistenza
In questo quadro di orrore, emerge la figura di Gisèle, 72 anni, che con straordinario coraggio ha affrontato ogni udienza. Con la sua scelta di mostrarsi pubblicamente, Gisèle ha ribaltato il paradigma sociale della vergogna, trasformandola in uno stigma per i colpevoli.
Come ha scritto Guia Soncini, Gisèle sarà per sempre associata agli stupri di Mazan, un peso che porterà ogni giorno della sua vita. Eppure, la sua battaglia è diventata un faro di speranza per tutte le vittime di violenza.
Il messaggio di Gisèle
Dopo la sentenza, Gisèle ha pronunciato parole semplici ma potenti:
“Ho lottato per i miei figli, i miei nipoti, le mie nuore. Ho lottato per tutte le vittime di violenza, per quelle donne non riconosciute, le cui storie restano nell’ombra.”
La sua forza e la sua determinazione ci ricordano che la vergogna deve cambiare lato: non è più la vittima a dover chinare il capo, ma chi si è macchiato di questi crimini.