Anche nel mondo del lavoro la situazione delle persone LGBTQIA+ varia notevolmente da paese a paese.
Nel nostro, quello della mancanza dei diritti per questi lavoratori è un problema ancora significativo sebbene negli anni si siano fatti passi avanti nell’arginare la discriminazione anche sul luogo di lavoro: solo una minima parte di essi è vittima di mobbing, molestie, demansionamento e quant’altro.
Resta tuttavia prioritario continuare a promuovere l’empowerment e la visibilità di questi lavoratori e lavoratrici che, talvolta adottano invece scientemente la strategia dell’invisibilità, certamente adatta a evitare discriminazioni nel breve-medio periodo ma che, secondo eminenti studiosi, può trasformarsi in vulnerabilità, nei casi concreti di discriminazione.
La scelta dell’invisibilità
La scelta dell’invisibilità, assolutamente legittima, è adottata dal 61,2% delle persone LGBTQIA+ che nascondono il proprio orientamento sessuale o identità di genere sui luoghi di lavoro.In effetti, chi fa coming out nel 41,4% dei casi ha riscontrato uno svantaggio negli avanzamenti di carriera, mentre 8 su 10 hanno dichiarano di aver subito almeno una forma di micro-aggressione, consistita in domande inopportune, espressioni offensive o avances non desiderate.
Eppure la discriminazione costa. Da alcuni anni, infatti, si sono moltiplicati gli studi, dell’ISTAT e non solo, che misurano le ricadute su PIL e produttività delle discriminazioni di genere e sessuali.
L’aspetto principale è il turnover, perché escludere queste persone significa perdita di talenti. Tanto è vero che il 34% delle lavoratrici e dei lavoratori LGBTQUIA+ ha deciso di dimettersi e chi fra loro non ha le possibilità di fare una scelta così drastica diventa demotivato e tende a fare il minimo indispensabile, senza più impegno né entusiasmo.

Divieto di discriminazione
Our Leadership, network globale per l’inclusione delle persone LGBTQIA+, contando una popolazione non etero nel mondo di 266 milioni di persone ha stimato che, se davvero integrate nel mercato del lavoro, porterebbero a un aumento di oltre 3 punti percentuali del PIL globale.
Sono quindi irrinunciabili leggi a tutela di questi lavoratori e lavoratrici. In Italia nel 2021 è stata inserita, nell’articolo 15 dello Statuto dei Lavoratori che prevede il divieto di discriminazione, l’ipotesi, dell’orientamento sessuale mentre la Legge Cirinnà del 2016 ha riconosciuto una serie di diritti per i lavoratori omosessuali quali il congedo matrimoniale, la reversibilità della pensione e le detrazioni fiscali per i familiari a carico.
Non esistono invece norme che tutelino espressamente i lavoratori e le lavoratrici transgender, tuttavia i tribunali hanno applicato il principio di non discriminazione fondato sul sesso previsto nel Codice per le pari opportunità.
Ad ogni modo, per tutti questi lavoratori e lavoratrici, così come per le donne, le persone diversamente abili e in genere tutti gli appartenenti alle minoranze, oltre alle leggi, sono le aziende a potere, e dovere, fare molto adottando codici etici e buone policy volte a creare un clima inclusivo e di tolleranza zero per le discriminazioni all’interno dei luoghi di lavoro.