I precari dei Beni Culturali: “Abbiamo studiato per paghe da fame”

I precari dei Beni Culturali: “Abbiamo studiato per paghe da fame”

Un organo che scandisce lo stesso ritmo, ormai da tempi immemorabili. A parlare, sono i precari dei Beni Culturali.

I lavoratori precari dei Beni Culturali hanno espresso la loro rabbia e frustrazione, sfogandosi ai microfoni di Fanpage.it. Il quadro lavorativo profondamente instabile in cui già versavano, è stato esasperato da un biennio di pandemia mondiale.

Cosa lamentano i precari del Patrimonio Storico-archeologico della nostra Penisola? Facile da intuire! Diritti negati, stipendi mortificanti, sfruttamento, il tutto condito da una buona dose di lavoro in nero, e dalla presa di coscienza di dover cercare un altro impiego lavorativo, per poter sopravvivere in maniera autonoma.

I precari dei Beni Culturali hanno sfogato il loro malessere, affidandosi ai microfoni di Fanpage.it, per denunciare un quadro davvero allarmante.

Poco prima dell’esplosione della pandemia, un’analisi approfondita del settore, aveva già restituito una situazione dai contorni a dir poco preoccupanti: nel settorore storico-artistico, sembravano infatti già profilerare fenomeni come il volontariato, le innumerevoli partite Iva coatte, lavoro in nero e paghe surreali.

La ripetizione dello stesso quadro analitico, riferibile al biennio 2021/2022, ha palesato una situazione maggiormente amplificata, a causa della diffusione del Covid-19.

Il caso dell’archeologo Niccolò Daviddi e gli altri.

Il giovane archeologo Niccolò Daviddi, ha espresso le proprie angosce, affidandosi ai microfoni di Fanpage.it. Daviddi aveva già presentato il quadro drammatico del settore, anche sulla Rai. Poco tempo dopo, l’archeologo è stato licenziato in tronco. L’accusa? Aver rivelato di guadagnare 6 euro netti, quali paga oraria ordinaria.

uomo portafoglio soldi spese

Ludovica Piazza, referente dell’associazione ‘Mi Riconosci’, ed operante nel medesimo settore lavorativo di Daviddi, ha chiarito che: “Si tratta di un settore in cui praticamente non c’è stato ricambio generazionale, perché da diversi anni mancano i concorsi. Quindi non ci sono state, di fatto, grandi assunzioni; si è proceduto con l’esternalizzazione dei servizi e in generale c’è stato lo svuotamento di tante istituzioni, che hanno sempre meno personale. E quindi fondamentalmente, non ci sono state opportunità per chi fa parte della mia generazione o ce ne sono state poche”.

Le parole di Oriana Federici, operatrice museale: “Non appena ho finito l’esperienza della laurea triennale, ho iniziato a cercare lavoro nell’ambito dei beni culturali e ho trovato un posto come operatrice museale presso i Musei civici di Roma. Il contratto era fatto da un subappalto, quindi non era di gestione diretta dei musei del Comune di Roma. La paga era 4,73 euro netti orari“.

Ad Oriana, fa da eco Cecilia De Laurentis, ora tatuatrice: “Per anni, ho lavorato all’interno di una fondazione privata come assistente di biblioteca e di archivio. Ho continuato la mia esperienza all’estero per un periodo, lavorando in un museo di storia, in Germania. Ritornando, sono ripiombata nella realtà romana, fatta fondamentalmente di privatizzazioni, lavoro nero, diritti negati e paghe da fame, Questo mi ha spinto, nell’arco di un paio di anni, a decidere di smettere di tentare totalmente di lavorare nel settore e di dedicarmi ad altro”.