A causa dell’influenza aviaria, gli USA richiedono uova all’Italia. Il Veneto, tra i principali produttori, si trova al centro della domanda.
Negli ultimi mesi, il mondo ha assistito a un nuovo picco dell’influenza aviaria, un fenomeno che ha messo in difficoltà la filiera alimentare globale, gli USA, in particolare, hanno subito gravi perdite negli allevamenti di galline ovaiole, tanto che il prezzo di una dozzina di uova è arrivato a superare gli 8 dollari, una cifra impensabile fino a poco tempo fa. Questo scenario ha costretto i distributori statunitensi a cercare fornitori alternativi all’estero, rivolgendosi anche al mercato europeo.

Il ruolo centrale del Veneto nella produzione di uova
L’Europa, però, non è stata risparmiata dall’epidemia. Tra le nazioni colpite ci sono l’Italia, la Svezia, la Norvegia e il Regno Unito, tutte con un calo produttivo significativo. In questo panorama incerto, una regione italiana in particolare è finita al centro dell’attenzione internazionale: il Veneto.
Con oltre 2 miliardi di uova prodotte ogni anno, il Veneto si conferma come una delle principali realtà produttive italiane nel settore avicolo. Gli allevamenti, concentrati tra Verona, Padova e altre province, contano più di 250 strutture con oltre 250 capi ciascuna. Tuttavia, l’Italia ha anch’essa subito l’impatto dell’influenza aviaria, con l’abbattimento di circa 4 milioni di galline ovaiole, pari al 10% del patrimonio nazionale.
Nonostante la pressione internazionale, le risposte delle autorità e dei produttori locali sono state caute. Michele Barbetta, presidente del settore avicolo di Confagricoltura Veneto, ha sottolineato che l’offerta attuale è quasi interamente destinata al consumo interno, e che non è possibile garantire ulteriori esportazioni.
La richiesta crescente degli USA
Di fronte a una richiesta crescente da parte degli Stati Uniti, anche il Veneto è stato contattato per forniture di uova fresche. Ma la risposta è stata negativa: la priorità resta il fabbisogno nazionale. La regione si trova così a giocare un ruolo strategico nel mantenimento dell’equilibrio alimentare interno, rifiutando – almeno per ora – un’esportazione oltreoceano che potrebbe compromettere la stabilità del mercato locale.