Uccisa da un melanoma a 31 anni, la famiglia denuncia: “Diagnosi sbagliata”

Uccisa da un melanoma a 31 anni, la famiglia denuncia: “Diagnosi sbagliata”

La storia di Jessica Foscarin morta a causa di un melanoma non riconosciuto, la famiglia chiede un milione di euro di risarcimento.

Jessica Foscarin, di Campagna Lupia in Veneto, è morta il 13 luglio 2022 in un letto d’ospedale a Mirano (Venezia). Dieci anni prima si era fatta togliere chirurgicamente un neo che sembrava sospetto, ma che le analisi avevano definito benigno. Anni dopo, si scopro che la diagnosi era stata sbagliata.

La storia di Jessica Foscarin

Quel neo sembrava nascondesse qualcosa di grave, ma l’esame istologico le aveva dato esito negativo. Nel 2020 però, Jessica Foscarin scopre di avere un nodulo al seno, esattamente nello stesso posto dove si trovava il neo rimosso anni prima.

In realtà, qualcosa di grave si nascondeva e come. Gli esami questa volta confermano un tumore maligno con metastasi, ormai troppo regresso per riuscire a fare qualcosa. La ragazza lotta contro tutto e tutti per la propria vita, ma il 13 luglio 2022 Jessica muore in ospedale.

La diagnosi sbagliata

Una tragica morte che si sarebbe potuta evitare se solo l’azienda sanitaria Serenissima che l’aveva visitata nel 2012 avesse dato a Jessica Foscarin la diagnosi corretta.

Come fa sapere Il Gazzettino, la procura di Venezia ha aperto un’inchiesta sul caso della 31enne. Per un errore medico, quel piccolo neo fu confuso con un neo benigno. La ragazza, allora di 19 anni, non venne quindi sottoposta alle specifiche terapie, riprendendo la sua vita di tutti i giorni dopo l’intervento.

Fino al 2020 però, quel neo divenne un irreversibile melanoma: riesaminando i i vetrini si scoprì tragicamente che la diagnosi era sbagliata e che quel neo era maligno.

La causa civile

La famiglia di Jessica Foscarin oggi chiede il risarcimento di oltre un milione di euro all’azienda sanitaria Serenissima, la Ulss 3, accusandola di omessa diagnosi di un melanoma.

La prima udienza civile è fissata il 1° marzo. La Ulss 3 dichiara: “L’esito dell’accertamento tecnico preventivo del tribunale non certifica responsabilità evidenti degli ospedali coinvolti in merito ad analisi e cure effettuate. Mettendo invece in luce la particolare difficoltà di diagnosi rispetto al caso clinico”.

“La somma risarcitoria richiesta dai legali della famiglia, particolarmente ingente, induce l’azienda sanitaria a svolgere con i propri legali e con la compagnia assicurativa ogni ulteriore e opportuna valutazione“, conclude l’azienda.