Julian Assange rompe il silenzio: “Ecco perché sono libero”

Julian Assange rompe il silenzio: “Ecco perché sono libero”

Julian Assange interviene dopo 14 anni di detenzione al Consiglio d’Europa: ecco il suo appello per la libertà di stampa.

Dopo 14 anni di detenzione e isolamento, Julian Assange ha fatto le sue prime dichiarazioni pubbliche il 1 ottobre, intervenendo al Consiglio d’Europa.

Il fondatore di WikiLeaks, come riportato da Today.it, ha lanciato un chiaro avvertimento: “Il giornalismo non è un crimine“. Ecco le sue parole.

Julian Assange

Le parole di Assange al Consiglio d’Europa

La libertà di espressione e tutto ciò che ne consegue si trovano a un bivio oscuro“, ha dichiarato Assange, puntando il dito contro gli Stati Uniti e l’influenza che potrebbero esercitare su altri paesi.

Secondo l’attivista australiano, il suo caso ha aperto la porta alla possibilità che altri giornalisti possano essere perseguiti a livello internazionale semplicemente per aver svolto il loro lavoro.

Temo che, a meno che istituzioni che stabiliscono norme come il Consiglio d’Europa non si sveglino di fronte alla gravità della situazione, sarà troppo tardi“, ha ammonito.

Nel suo intervento, inoltre, ha evidenziato l’importanza di proteggere il diritto di informare il pubblico senza paura di rappresaglie.

Ha, infatti, collegato la sua vicenda a un quadro più ampio, in cui la libertà di stampa e la democrazia stessa sono minacciate.

Non sono libero oggi perché il sistema ha funzionato“, ha detto. “Sono libero oggi perché dopo anni di carcere mi sono dichiarato colpevole di giornalismo, colpevole di aver cercato informazioni (…) e mi sono dichiarato colpevole di aver informato il pubblico“.

Il messaggio, dunque, è chiaro: la libertà di espressione deve essere difesa con forza. “Quanto accaduto a me può accadere di nuovo“, ha avvertito.

La vicenda giudiziaria

Assange è stato accusato dal governo statunitense di cospirazione e di aver violato le leggi sullo spionaggio, dopo la pubblicazione di documenti segreti che rivelavano crimini di guerra.

Nonostante la sua lunga lotta contro l’estradizione negli Stati Uniti, ha patteggiato, dichiarandosi colpevole.

La sentenza, tuttavia, non ha portato a ulteriore detenzione poiché il tempo trascorso in carcere era pari alla pena.

Ora, libero da giugno, non ha perso tempo per esprimere le sue preoccupazioni riguardo al futuro della libertà di stampa.