Khephren Thuram parla in un’intervista a La Stampa della sua esperienza alla Juventus, la sua lotta contro il razzismo.
Khephren Thuram, centrocampista della Juventus, sta vivendo una stagione importante sia a livello professionale che personale. Figlio dello storico difensore Lilian Thuram e fratello minore di Marcus, attaccante dell’Inter, Khephren rappresenta una delle nuove promesse del calcio europeo. La sua presenza nella massima serie italiana ha attirato l’attenzione non solo per le sue doti tecniche, ma anche per la maturità fuori dal campo.

Un talento in crescita tra Serie A e legami familiari
In un’intervista esclusiva concessa a La Stampa, il calciatore ha condiviso riflessioni che vanno oltre il pallone. La Serie A è un terreno competitivo dove ogni partita è una sfida intellettuale. “È un campionato di alto livello ed è quello che cerchiamo. Qui ci inseriamo bene, mio fratello parla l’italiano perfettamente, io miglioro e poi sono partite diverse, uniche: molto più tattiche che altrove, un gioco che esalta l’intelligenza. I Thuram ci stanno bene.”
Sul legame con il fratello, Khephren aggiunge con umiltà: “Sono il fratello piccolo, non è il caso di lanciare le provocazioni. Marcus è fiero di me, io sono felice per lui, mio padre è davvero contento di vederci esprimere al meglio. Prima di fare il competitivo devo vincere qualcosa, se ci provo ora mi surclassano.”
Una voce forte contro il razzismo, ispirata da esperienze personali
Ma il vero cuore dell’intervista riguarda un tema delicato e ancora troppo attuale: il razzismo. Durante un evento in una scuola torinese, Khephren ha deciso di non restare in silenzio. “Non so quando sarà superato, so che è necessario non fare finta di nulla. Da prima ancora di toccare il pallone? Non saprei, da quando sono uscito dalla pancia di mamma…”
Con grande lucidità ha ricordato episodi vissuti: “Avevo, mi pare, 13 anni: mio padre mi ha lasciato davanti a casa, ero senza chiavi, aspettavo mia madre lì sotto e facevo su e giù di fronte al portone. Una donna è rimasta a fissarmi e vedendo che non me ne andavo mi ha gridato: ‘Torna da dove vieni’. E io sul serio non ho capito. Ci ho proprio pensato. ‘Dove devo tornare? In Italia? Come lo sa?’ Poi quella sensazione, la fitta, quando vedi il razzismo per quello che è: assurdo.”
È stato proprio suo padre Lilian ad aiutarlo a riconoscere e affrontare il problema: “Papà mi ha aiutato ad affrontare il problema, magari oggi io ho dato una mano a qualcun altro.”
Il pensiero si allarga poi alla società nel suo complesso: “La nostra società è intrisa dal pensiero bianco, la prospettiva della superiorità a prescindere che è un pregiudizio durissimo a morire.”
In un momento in cui il calcio può diventare cassa di risonanza per temi sociali profondi, Khephren Thuram sceglie di non tacere. “Tacere per tentare di togliere importanza a chi si comporta così è inutile. Qualsiasi episodio va portato alla luce, solo così si stabilisce una soglia di vergogna collettiva, si stimola il rifiuto. Sono bestialità inaccettabili.”