Lo scrittore thriller Donato Carrisi entra nella mente dell’assassino e ci spiega perché molti killer fanno a pezzi le loro vittime.
Sono molti i casi della cronaca nera che raccontano di killer che dopo un omicidio scelgono di fare a pezzi la loro vittima e nasconderla i sacchi di plastica, o in una valigia o da qualche altra parte. Il motivo non sta nel nascondere le prove, come si potrebbe facilmente pensare. Ma la motivazione è più profonda e non ha a che fare con la giustizia.
Il criminologo Carrisi spiega all’Agi che i killer non temono il tribunale della giustizia ma quello della loro stessa coscienza. Nonostante abbiano commesso un crimine atroce presi da un raptus di follia, i killer vengono assaliti dalla voce della loro coscienza. “Prendere le distanze dall’orrore di cui si è stati artefici: se non c’è più il cadavere non c’è più l’omicidio e questo vale prima di tutto di fronte a se stessi e poi anche di rispetto agli altri. Del resto, si prova pietà di un corpo morto, non di un braccio o di un altro pezzo di quel corpo”.
Sono tante le storie di killer che hanno dominato le pagine di cronaca nera negli anni. Molti di loro, infatti volevano nascondere quel gesto insopportabile che avevano fatto. Chi ha nascosto i pezzi in cantina, chi in un bosco, chi in una valigia. Dietro questi gesti c’è sempre una motivazione che ha a che fare con il rifiuto di quel gesto, a volte dominato anche da un amore malato.
Fare a pezzi i corpi per mentire alla propria coscienza
“Se il corpo rimasse intero potrebbe suscitare compassione. È questo, più che la volontà di far sparire le prove della propria colpevolezza di fronte agli altri, il motivo che spinge a farlo a pezzi” tenta una spiegazione plausibile Carrisi. “L’assassino di Carol ha provato a bruciare il corpo ma non c’è riuscito. Per farlo a pezzi, in quelle condizioni, ci vuole una grande motivazione sorretta sempre, nella psicosi del momento, da un’idea egoistica di ‘assolversi’”.