Un budget di 10 milioni di euro e un prefetto dedicato per contrastare un’invasione naturale: è questa la soluzione giusta?
Un prefetto è stato nominato per coordinare un’azione contro il granchio blu, dotato di un generoso budget di 10 milioni di euro e supportato da un team di esperti, scienziati e operatori. Questo investimento ha l’obiettivo di contrastare la diffusione del granchio blu nelle nostre coste, un fenomeno che sta causando gravi danni alla pesca.
Tuttavia, sorge spontanea la domanda: è giustificabile spendere 10 milioni di euro per creare una sorta di alto commissariato contro un granchio che si sta diffondendo ovunque, dall’Atlantico all’Europa? Mentre altri paesi hanno scelto di organizzarsi per pescare, allevare e vendere il granchio blu all’estero, in Italia sembra che si sia scatenata una vera e propria caccia contro questo animale.
Questa strategia potrebbe rivelarsi poco efficace. È importante ricordare che, se da un lato l’Italia combatte il granchio blu, dall’altro lo importa dalla Tunisia per un valore di quattro milioni di euro l’anno, e lo stesso avviene con la Grecia. Gli italiani vogliono il granchio blu nei loro piatti, ma al contempo i pescatori locali ne subiscono le conseguenze, e il governo sembra voler accontentare l’elettorato.
L’espansione del granchio blu è difficilmente contrastabile con la nomina di un commissario. Il cambiamento climatico e la globalizzazione, soprattutto nei settori della pesca, dei trasporti e del turismo, hanno modificato radicalmente la geografia della nostra fauna ittica. Invece di combattere contro i fenomeni naturali, come gli orsi che si comportano da orsi o i granchi che si comportano da granchi, sarebbe forse più saggio riconoscere che il nostro paese ha bisogno di politiche industriali lungimiranti, capaci di assecondare le nuove tendenze economiche. Tendenze che possono generare reddito e lavoro non solo per le nostre coste, ma per l’intera nazione.