La difesa delle navi la paghino anche gli armatori
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Direttore: Alessandro Plateroti

La difesa delle navi la paghino anche gli armatori

canale di Suez

Scopri il segreto degli armatori: come evitano le tasse sui loro profitti annuali!

Gli attacchi degli Huthi contro i mercantili in rotta sul Mar Rosso hanno creato il panico nel commercio internazionale: tutti gli armatori stanno dirottando le navi di migliaia di miglia attorno alla punta meridionale dell’Africa, con pesanti ripercussioni sui tempi e sui prezzi delle spedizioni da e verso i porti del Mediterraneo.

Per coprire rischi e costi della nuova rotta, gli armatori hanno raddoppiato le tariffe, scaricando la crisi sui conti delle imprese e dei consumatori. A metà gennaio, secondo i dati di Confindustria, il traffico di navi nel mar Rosso si è più che dimezzato e il costo di trasporto dei container dall’Asia all’Europa è aumentato del 92%: solo l’Italia, rischia di perdere il 40% dell’export a causa del blocco.
Davanti a queste cifre, fermare gli attacchi degli Huthi è diventata chiaramente una priorità assoluta per tutti: per l’Europa, con Francia, Germania, Italia e Inghilterra che hanno già inviato navi da guerra per scortare mercantili e petroliere, e soprattutto per gli Stati Uniti, già alla testa di una operazione di pattugliamento e protezione delle navi insieme ad altri dieci Paesi tra cui Australia e India.


Garantire la sicurezza del commercio marittimo è interesse strategico di ogni nazione esportatrice, ma la serietà della crisi e soprattutto il suo costo per le nazioni coinvolte ha anche acceso un faro sull’intera industria del commercio marittimo e soprattutto sulle grandi società armatrici, un settore che opera per lo più al di fuori delle norme fiscali globali e che ora si aspetta che i governi lo proteggano.
Nessuno mette in dubbio che le manovre di difesa marittima siano essenziali: i marinai sono in pericolo, le imprese esportatrici sono state costretti a ridurre la produzione e il rapido aumento dei prezzi delle merci trasportate potrebbero riaccendere rapidamente l’inflazione.

navi cargo trasporto gas

Questo scenario disastroso ha però un’eccezione: gli armatori. Il settore non solo non contribuisce in alcun modo ai costi di protezione sostenuti dai governi, ma non pagano nemmeno le tasse sui profitti che incassano ogni anno e soprattutto in momenti di crisi come questo: malgrado l’allungamento della rotta, l’aumento immediato delle tariffe dei noli lascerà inalterati gli utili degli armatori. Il trasporto navale, è bene ricordarlo, è un colosso con ricavi per oltre 150 miliardi di dollari nel solo settore dei container e utili che l’anno scorso hanno superato i 220 miliardi di dollari, pagando dividendi d’oro ai propri azionisti. E qui viene il problema delle tasse.
Da quest’anno le grandi società multinazionali sono soggette a un’aliquota fiscale minima del 15% sui loro guadagni, ma l’industria marittima è riuscita a spuntare dall’Ocse la totale esenzione dalla minimum tax.


Ciò ha preservato un sistema in base al quale le navi sono spesso registrate in paradisi fiscali e repubbliche delle banane, giurisdizioni cioè poco regolamentate e a bassa tassazione note come registri aperti. Questo permette di montare sulle navi bandiere di comodo piuttosto che quella del paese di proprietà. Circa il 44% delle navi mondiali in termini di stazza lorda sono registrate in soli tre paesi: Panama, Liberia e Isole Marshall. Negli anni ’50, i registri aperti rappresentavano meno del 5% della flotta globale.


Per contrastare i registri aperti, più di 20 paesi europei, oltre alla Corea del Sud e al Giappone, hanno offerto agli armatori un trattamento preferenziale in base al quale vengono tassati in base al tonnellaggio della loro flotta piuttosto che ai profitti realizzati. Un escamotage che gli permette di aggirare la tassa sui profitti e di pagare solo una mini-tassa sul tonnellaggio delle navi.
Secondo uno studio di Olaf Merk, responsabile dei porti e delle spedizioni presso l’International Transport Forum dell’OCSE, l’aliquota fiscale effettiva pagata dalle compagnie di navigazione di tutto il mondo è stata solo del 7% tra il 2005 e il 2019. Alcune categorie pagavano molto meno: l’aliquota fiscale media per le navi portarinfuse liquide come le petroliere era solo del 3%, mentre le compagnie di crociera pagavano in media lo 0%.


I sindacati criticano da tempo le bandiere di comodo perché indeboliscono gli standard lavorativi, ma i comodi regimi fiscali delle compagnie di navigazione hanno ricevuto poca attenzione, in parte perché questo settore ciclico spesso perdeva denaro.
La situazione è cambiata quando le compagnie di trasporto di container hanno iniziato improvvisamente a generare decine di miliardi di dollari di profitti durante la pandemia di Covid-19, e alcune hanno rivelato di dover pagare solo l’1% in tasse e i governi hanno rinunciato a miliardi di entrate potenziali.
Perfino il capo del colosso tedesco del trasporto di container Hapag-Lloyd AG ha ammesso nel 2022 che le basse aliquote fiscali sul tonnellaggio non sono giuste. Il suo disagio non ha impedito ad Hapag di pagare un totale di 17,3 miliardi di euro (18,8 miliardi di dollari) di dividendi per gli anni finanziari 2021 e 2022.


Sono stati compiuti progressi nel promuovere la concorrenza nel trasporto marittimo e nel penalizzare l’inquinamento, ma esentarlo dalla tassa minima globale è stata un’occasione mancata, se non un regali ingiustificato.
La lezione della pandemia e ora degli Houthi è che il commercio marittimo è fortemente suscettibile alle interruzioni; e in un mondo multipolare la libertà di navigazione non è più una certezza. Gli Houthi non fanno differenza tra la nazionalità dell’armatore e la bandiera su cui batte. E nessuno si aspetta seriamente che le Isole Marshall, la Liberia o Panama salpino in soccorso se una nave viene attaccata. Dipende dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dai loro alleati. Una commissione parlamentare inglese ha avvertito nel 2022 che l’uso delle bandiere di comodo ha creato un “vuoto giurisdizionale” in alto mare.
Che dire? Di certo, dopo la crisi, il sistema andrà rivisto. In effetti, la necessità che i governi difendano le navi mercantili in acque internazionali – a fronte di spese considerevoli – è una buona ragione per tassare adeguatamente gli armatori.

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ultimo aggiornamento: 29 Gennaio 2024 17:26

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