“Sostengo fermamente la certezza della pena, come ho ripetuto spesso. Questo principio, lungi dall’essere reazionario o punitivo, garantisce in democrazia che le sanzioni siano proporzionate agli errori commessi”.
Generazione V” che non sta per Vendetta, come nel film, ma per violenza. La Generazione Violenta, purtroppo, è quella dei nostri giovani italiani, un po’ più piccoli, un po’ più adolescenti, un po’ più grandi, sotto i vent’anni un po’ sopra i vent’anni.
A dire questo non è un giornalista, per motivi ideologici o moralistici o di facile sociologia.
Sono gli episodi di cronaca che lo dicono, ognuno per sé nella specifica tragedia individuale che ogni fatto contiene in sé, ma che insieme fanno un ponte semantico, il ponte di significato che poi i fatti hanno quando si collegano simbolicamente.
Ne cito tre: uno recentissimo che viene da Torino, quel ragazzo di 23 anni di nobili origini, cosa che trovo poco interessante nel nostro ragionamento, principale indiziato nel ferimento a colpi di machete di un altro ragazzo, quasi coetaneo 24 anni, e avergli inflitto ferite tali che i medici hanno dovuto amputare parte dell’arto alla vittima.
Motivi di questo gesto folle? Non si capiscono, forse una questione di gelosia, forse una questione di droga, ma qualsiasi sia il motivo non si va in giro per Torino aspettando uno sotto casa con un machete. Davvero le città sono diventate anche simbolicamente e materialmente davvero una giungla!
Altra notizia che viene sempre dal Piemonte, precisamente da Rivoli: due giovanissimi, un po’ più piccoli in questo caso 15 e 16 anni, pare appartenenti a una baby gang del luogo, hanno sequestrato, immobilizzato e torturato nella sua casa di campagna uno sfortunato signore di 50 anni. Poi sono tornati e l’hanno portato in banca per riscuotere 5.000 euro dal suo conto.
In banca si sono insospettiti per le ferite che aveva in faccia, hanno chiamato le forze dell’ordine e i due sono stati arrestati. Qui si passa da una grande città a un piccolo centro ma la storia ricorda per sadismo e violenza un film culto come Arancia Meccanica.
E poi il terzo episodio, in un’altra geografia, in un’altra geopolitica italiana, chiamiamola così, che è Napoli, dove però dobbiamo leggere le storie senza gli specchi deformanti, i prismi che ci sono ogni volta che si parla di Napoli, ovvero la criminalità organizzata.
Andiamo a vedere l’elemento morale che c’è dietro: il povero Giogiò, così è stato soprannominato quel giovane musicista che una sera della scorsa estate davanti a un locale per la sua generosità, difendere una persona aggredita, s’è beccato tre colpi di pistola da parte di un sedicenne che aveva una lunga sfilza di precedenti penali. Con sé aveva una pistola e l’ha usata per futili motivi, ammazzando un giovane per bene, onesto, con tanti sogni, con tante aspettative soprattutto legate al suo mestiere.
La mamma è andata a Sanremo a raccontare questa storia emozionando milioni di Italiani. La mamma voleva giustizia, come la vogliono tutti i familiari delle vittime, e l’ha avuta perché in primo grado il carnefice si è beccato tutti gli anni possibili che si potevano dare a una persona di quelle età in questo tipo di delitti.
Io sono per la certezza della pena, l’ho scritto tante volte. La certezza della pena non è un atteggiamento reazionario, o punitivo, o penalista, o destrorso. È ciò che in democrazia assicura che una persona che ha sbagliato abbia una pena proporzionale al suo errore.
Questi episodi raccontano nella loro diversità una violenza che non conosce limiti, una mancanza totale di rispetto per l’altro e per la vita umana che ci preoccupa perché rischiamo di vivere in un mondo che è un incubo paranoico. Noi boomers cosa abbiamo insegnato a questa nuova generazione? Certo non bisogna generalizzare, non tutti i giovani per fortuna sono violenti, ma non bisogna ogni volta girarsi dall’altra parte. Tanto, come si dice ai funerali, piangiamo pure ma non siamo morti noi!