Per la prima volta una donna, Kirsty Coventry, è stata eletta Presidente del Comitato Olimpico Internazionale.
Un bel traguardo, visto che c’è stato un tempo in cui alle donne non era nemmeno permesso guardare i Giochi Olimpici. Dopo aver ottenuto di partecipare alle gare, le donne hanno però dovuto sottoporsi a visite mediche per avere la certezza che non fossero uomini che tentavano di gareggiare sotto mentite spoglie, pensiamo alle atlete della Germania Est ai tempi della cortina di ferro.
Oggi la situazione è molto cambiata: alle Olimpiadi di Londra del 2012 per la prima volta il numero delle partecipanti è stato uguale a quello degli atleti uomini, generando così un fenomeno emulativo per cui sempre più bambine e ragazze si sono avvicinate allo sport, anche agonistico, ivi comprese discipline considerate tradizionalmente maschili, con risultati eccellenti. Per restare in Italia, le nostre atlete brillano da anni nelle competizioni internazionali, spesso vincendo un numero maggiore di medaglie rispetto ai colleghi maschi.
Tutto bene dunque? Ci sono certamente margini di miglioramento se, nell’ambito della riunione del Consiglio dell’UE “Istruzione, Gioventù, Cultura e Sport” tenutasi a Bruxelles il 24 novembre 2023, i Ministri degli Stati membri responsabili dello sport hanno sentito il bisogno di approvare le Conclusioni sulle donne e l’uguaglianza nel settore sportivo.
I Consiglieri hanno sottolineato l’importanza di garantire l’accesso a un ambiente sicuro, inclusivo e paritario, libero da qualsiasi forma di disuguaglianza, discriminazione o violenza, e hanno evidenziato come il numero delle donne che praticano sport e attività fisica è ancora inferiore rispetto agli uomini, soprattutto a causa delle persistenti barriere socioculturali.
In questo contesto, il Consiglio ha invitato gli Stati membri a garantire a tutti, indipendentemente dal genere, la parità di accesso e la piena partecipazione alla pratica sportiva, individuando una serie di azioni positive:
prevenire e combattere le molestie, gli abusi sessuali e la violenza a tutti i livelli;
considerare la prospettiva di genere nelle infrastrutture, negli impianti sportivi e nei finanziamenti;
aumentare la percentuale di donne in posizioni dirigenziali nello sport;
promuovere una copertura mediatica più ampia e priva di stereotipi sulle competizioni sportive femminili.
La lunga strada per superare le differenze di genere nello sport, il ruolo dei media.
In effetti i media talvolta ancora descrivono gli sport distinguendoli in maschili e femminili, generando così resistenze culturali e rendendo più complesso l’avvicinamento a determinati sport per le bambine che sentono di avere per essi particolari attitudini. Un’ altra criticità è rappresentata dall’offerta alle atlete di una copertura mediatica concentrata sul loro aspetto fisico, sulla vita privata, sulla sessualità. Esempio eclatante Federica Pellegrini cui, mentre macinava record su record, veniva chiesto, puntualmente in ogni intervista, quando avrebbe fatto un figlio.
Infine, capita ancora che le inquadrature siano diverse nella ripresa del gesto atletico femminile: pensiamo al beach volley. Questo può generare insicurezze nelle atlete, fino a determinare disturbi alimentari quali bulimia e anoressia, spontanei o indotti. Non è lontano il ricordo della vicenda delle ginnaste italiane definite grasse e sottoposte a diete ferree e vessazioni.
Tanto è stato fatto dunque ma il cammino va proseguito, sulla traccia precisa e accurata indicata dal Consiglio e, certamente, il ruolo dei media sarà fondamentale.