La Momo Challenge è (ovviamente) una bufala. Ecco come non cascarci.

La Momo Challenge è (ovviamente) una bufala. Ecco come non cascarci.

La Momo Challenge è solo l’ultima di una serie di bufale che sollevano paure infondate sul comportamento dei più giovani sul Web. Ecco come non cascarci.

La Momo Challenge ha tutti gli ingredienti per una storia dell’orrore: ci sono messaggi segreti, c’è una bambola inquietante e soprattutto c’è il tentativo di manipolare gli adolescenti e spingerli al suicidio. Infatti è esattamente questo: una leggenda metropolitana, che non ha nessun fondamento se non qualche immagine apparsa su Internet e riportata, senza troppe verifiche, dai magazine sensazionalistici di mezzo mondo.

Come evitare le bufale come la Momo Challenge?

Oggi, “schivare” una bufala come la Momo Challenge è praticamente impossibile. Ma quello che possiamo fare, prima di farci prendere dal panico (soprattutto se siamo genitori), è provare ad andare un po’ più a fondo.

In questo caso, per esempio, prima di inviare un annuncio allarmistico a tutti i nostri gruppi di WhatsApp o su tutti i nostri social, è sufficiente una rapida ricerca sul Web, per scoprire alcune cose interessanti, per esempio attraverso Wikipedia o anche attraverso il celebre sito Know Your Meme, che quando si tratta di cultura pop e fenomeni del Web è una fonte preziosa.

In realtà, tutto nasce da una serie di foto di una scultura dell’artista giapponese Keisuke Aiso (Aisawa). La scultura è oggettivamente inquietante, ed è diventata oggetto anche di molti meme, spesso umoristici, che in qualche modo hanno favorito il diffondersi della bufala.

Per esempio, molti hanno iniziato a truccarsi come la scultura, con un intento ovviamente molto diverso dall’intenzione di farsi del male.

Intanto, la Momo Challenge ha davvero fatto una “vittima”: l’autore dell’opera (che ovviamente si dissocia dalla notizia circolata) ha annunciato di avere distrutto l’opera, secondo questo video di The Sun.

La Momo Challenge: come riconoscere una bufala in un minuto

Lasciando perdere il fatto che La Momo Challenge è praticamente identica alla Blue Whale Challenge di qualche anno fa, il che dovrebbe già farci sospettare. Inoltre, l’altra cosa che dovrebbe farci sospettare è il fatto che le “solite” catene su WhatsApp e sui social ne parlano come di una cosa nuova, mentre in Rete se ne parla dal 2018.

Inoltre, anche se molte delle “notizie” che circolano in questi giorni parlano di diverse vittime accertate. Mentre le autorità locali non hanno lanciato nessun allarme, se non, nelle ultime ore appunto, la preghiera di diffondere le informazioni corrette.

Quindi, per evitare rischi, atteniamoci a tre semplici regole:

Prima di tutto, se una notizia arriva prima su WhatsApp o su qualche catena e poi viene riportata dai media, merita quantomeno approfondimenti.

Poi, facciamo una rapida ricerca, e soprattutto, diamo un “peso” maggiore a quello che dicono siti autorevoli come Wikipedia, i grandi internazionali o quantomeno le testate giornalistiche registrate, rispetto a blog o pagine sconosciuti. Nel caso della Momo Challenge, per esempio, la pagina di Wikipedia in inglese spiega chiaramente che non ci sono casi noti collegati a questa challenge. Se abbiamo problemi con l’inglese, possiamo aiutarci con un traduttore.

Infine, il che non guasta mai, guardiamo la data in cui la “notizia” è comparsa la prima volta. Se circola da diversi anni e non è mai scattato nessun allarme ufficiale delle autorità, allora è molto probabile che sia una bufala

Perché crediamo alle leggende metropolitane?

Fra tutti gli articoli usciti nelle ultime ore, quello che lo spiega meglio è quello pubblicato da Wired.com, che parla di viral media scare, cioè di allarme che diventa virale.

Ma del resto, non si tratta di niente di nuovo. Anche prima dell’avvento di Internet circolavano leggende metropolitane, dai coccodrilli nelle fogne di New York, al mostro di Loch Ness, e quelle che vedono al centro videogiochi assassini o oscuri siti Web non si contano nemmeno.

Il problema è che proprio chi vorrebbe aiutare, crea, spesso in buona fede, allarmi che altrimenti circolerebbero molto meno, si spegnerebbero subito e soprattutto non rischierebbero di innescare strane idee in chi magari non ne ha mai sentito parlare.