La nuova legge è una mazzata per gli italiani: persi tutti gli arretrati
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Direttore: Alessandro Plateroti

La nuova legge è una mazzata per gli italiani: persi tutti gli arretrati

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Con la nuova legge cambiano i tempi per recuperare gli arretrati da lavoro: da 18 a 5 anni. Ecco cosa prevede la norma.

Una nuova legge varata dal Governo Meloni riscrive le regole sulla prescrizione dei crediti da lavoro, cambiando radicalmente il modo in cui i lavoratori possono recuperare le somme non corrisposte. Il testo, inserito nel decreto ex Ilva e sostenuto da Fratelli d’Italia, prevede che il termine per far valere arretrati in busta paga sia ridotto a cinque anni. Si tratta di un cambiamento netto rispetto al passato, dove la somma di prescrizione e tutela portava la finestra di recupero fino a diciotto anni.

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La nuova stretta sugli arretrati: cosa prevede la riforma

La nuova legge si applica alle aziende con più di quindici dipendenti e stabilisce che i cinque anni inizino a decorrere durante il rapporto di lavoro, e non più dopo la sua cessazione. Nelle imprese più piccole, invece, resta valido il calcolo a partire dalla fine del contratto. In sostanza, il lavoratore rischia di perdere stipendi non versati, straordinari, TFR, differenziali retributivi e anche i ratei di tredicesima e quattordicesima se non agisce entro i nuovi termini.

Ma non basta presentare una richiesta. Dopo averla fatta, il lavoratore deve intraprendere un’azione legale entro 180 giorni, altrimenti il diritto si estingue. Questa combinazione di termini così stringenti potrebbe mettere in seria difficoltà chi non è in grado di muoversi rapidamente o teme ripercussioni sul posto di lavoro.

Reazioni e polemiche: sindacati sul piede di guerra

La riforma ha suscitato immediate reazioni critiche. Secondo CGIL e UIL si tratta di una misura ingiusta, che compromette i diritti economici dei lavoratori e potrebbe esporli a pressioni o ritorsioni se decidessero di far valere i propri diritti durante il contratto in essere. Le preoccupazioni non si limitano all’ambito sindacale: alcuni giuristi sostengono che la norma violi l’articolo 36 della Costituzione, che garantisce una retribuzione equa e proporzionata.

Il Governo difende la scelta parlando di certezza del diritto e riduzione del contenzioso. Tuttavia, per molti questa “semplificazione” rischia di lasciare indietro chi più ha bisogno di tutele.

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ultimo aggiornamento: 31 Luglio 2025 9:47

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