Lavoro agile: da una parte chi lo ritiene utile, dall’altra chi vorrebbe eliminarlo. Ma qual è l’impatto sull’economia?
Il lavoro agile è il nuovo modo di lavorare pensato per far fronte alla situazione di emergenza da Coronavirus. Il lavoro da remoto riguarda un numero sempre maggiore di persone. Secondo il dossier di Confesercenti, potrebbe coinvolgere fino a 6,2 milioni di persone.
Il risparmio per i lavoratori
Lo smart working permetterebbe alle famiglie italiane di risparmiare, innanzitutto le spese sostenute in benzina per dirigersi negli uffici. Si stima un risparmio di 9,8 miliardi di euro in meno spesi all’anno per quanto riguarda le famiglie, e anche per le aziende, che andrebbero a risparmiare fino a 12,5 miliardi all’anno. Invece risulterebbero penalizzati i settori della ristorazione e dei trasporti, che potrebbero perdere fino a 25 miliardi.
Il lavoro agile faceva parte della vita degli italiani già prima della pandemia. Ma con lo scoppio nel 2020, lo smart working ha preso il via coinvolgendo lavoratori e studenti in tutto il mondo. Secondo i dati registrati dal dossier Confesercenti “Cambia il lavoro, cambiano le città”, prima del coronavirus in Italia soltanto 184mila persone lavoravano in smart working.
Secondo le stime proposte da Confesercenti, se lo smart working diventasse la “prassi”, con la chiusura degli uffici fisici, coinvolgerebbe 6,2 milioni di lavoratori. In rapporto, 4,9 milioni di passeggeri di mezzi privati o pubblici al giorno non sarebbero più costretti a viaggiare.
Lavoro da remoto, quali sono i contro
Ma questa innovazione potrebbe risultare un’arma a doppio taglio. Da una parte, farebbe risparmiare alle imprese fino a 12,5 miliardi all’anno. Mentre l’altra faccia della medaglia riguarderebbe una perdita di 25 miliardi di euro nei settori della ristorazione, del commercio, del turismo e soprattutto dei trasporti.
Gli effetti benefici del lavoro agile sulle imprese riguarderebbero un risparmio sulle spese sostenute per l’acquisto e l’affitto dei locali, le spese per il consumo di energia elettrica, gas e acqua. Senza contare le spese di trasporto e i costi indiretti sostenuti dalle imprese.
Allo stesso modo, ristorazione e trasporti subirebbero un duro colpo. Mentre si stima un rialzo di +4,3 miliardi nel settore del commercio alimentare. In un quadro generale, contando risparmi e perdite, si ipotizza una perdita netta per le imprese di 8,2 miliardi di euro di fatturato. Questo porterebbe alla chiusura di circa 21 mila attività, creando un tasso di disoccupazione allarmante. Specialmente nelle attività che riguardano i pubblici esercizi e le attività di ricezione e ristorazione.