Ci sono casi in cui cercare di “sopravvivere” può costare molto caro. Ma cosa succede quando si lavora in nero e si percepisce anche l’Assegno di Inclusione?
Trovare un’occupazione stabile e regolare continua a essere uno degli obiettivi fondamentali per milioni di italiani. Eppure, la realtà del mercato del lavoro dimostra ogni giorno quanto questo diritto, sancito dalla Costituzione, sia difficile da esercitare. Il ricorso al lavoro nero, soprattutto in contesti di crisi e disagio sociale, è purtroppo una piaga ancora diffusa.

Lavoro nero e Assegno di Inclusione: quando sopravvivere diventa un reato
Ma quando al lavoro irregolare si somma anche la percezione di un sussidio statale come l’Assegno di Inclusione, il confine tra sopravvivenza e reato diventa sottile, se non completamente oltrepassato.
Secondo quanto previsto dalla normativa vigente, lavorare senza un contratto e percepire contemporaneamente un aiuto economico pubblico, configura una vera e propria truffa ai danni dello Stato. Una condizione che, oltre a comportare conseguenze economiche gravi, può avere anche implicazioni penali di rilevante entità.
Che cos’è il lavoro nero: definizione e conseguenze legali
Per “lavoro nero” si intende qualsiasi attività lavorativa non dichiarata, svolta senza regolare contratto e senza versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Un fenomeno che priva il lavoratore di diritti fondamentali: ferie, malattia, disoccupazione, pensione.
Ma non è solo il lavoratore a rischiare: anche il datore di lavoro può incorrere in sanzioni severe, multe salate e obblighi di regolarizzazione.
Il problema si aggrava ulteriormente quando il soggetto che lavora in nero risulta ufficialmente disoccupato, e in quanto tale percepisce aiuti economici pubblici, come l’Assegno di Inclusione. In tal caso, si configura il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.
Rischi penali per chi infrange la legge
Come previsto dal Decreto Lavoro 2023, chi lavora in nero e contemporaneamente percepisce l’Assegno di Inclusione rischia fino a sei anni di carcere.
Non solo: è obbligato a restituire integralmente tutte le somme ricevute senza averne diritto. Non è sufficiente, dunque, la semplice revoca del sussidio. La normativa non lascia spazio a interpretazioni: si tratta di un reato penale.
Il sussidio statale è destinato a quei nuclei familiari che vivono in condizione di povertà, con un reddito inferiore ai 6.500 euro annui. Chi omette di dichiarare anche una minima entrata economica, secondo quanto chiariscono i Centri di Assistenza Fiscale (CAF), si espone a controlli incrociati e sanzioni severe.
“La legge non ammette eccezioni. Anche poche ore di lavoro non dichiarato possono diventare un problema serio”, spiegano gli esperti dei CAF.
Il ruolo dei CAF e l’importanza della trasparenza fiscale
Molte famiglie italiane si affidano ai CAF per l’elaborazione dell’ISEE e la gestione delle pratiche necessarie per ottenere bonus e agevolazioni fiscali. Proprio da questi centri arriva l’invito a dichiarare sempre ogni fonte di reddito, anche occasionale o temporanea.
“Anche un piccolo compenso percepito senza contratto deve essere dichiarato. Il rischio non vale mai la pena”, ribadiscono gli operatori.
Dunque, anche nei momenti più difficili, è fondamentale rispettare la legge. Accettare lavori irregolari può sembrare una soluzione immediata, ma può trasformarsi in un problema ben più grave nel medio e lungo termine.