Il Governo Meloni imprime una svolta al commercio internazionale: via libera alle forniture militari per gli emiri, un business miliardario
L’invio di armi alla resistenza ucraina continua a far discutere. Ed è inevitabile che sia così, perché si tratta del coinvolgimento effettivo dell’Italia e dell’Occidente nella guerra in corso nel cuore dell’Europa. Le possibili conseguenze di tale coinvolgimento, sottolineate anche dalle ripetute minacce russe, non possono lasciare indifferenti. Allo stesso modo, abbandonare Kiev al proprio destino sarebbe non solo esecrabile sul piano morale, ma anche scarsamente lungimirante: chi può garantire che Putin, in caso di vittoria, poi non decida di estendere ulteriormente il suo dominio?
Il tema è talmente delicato e complesso da rendere il dibattito non solo inevitabile, ma anche necessario. Al contrario, stupisce l’indifferenza riservata da media e opinione pubblica alla decisione del governo Meloni di togliere il veto sulla vendita delle armi italiane agli Emirati Arabi. La svolta è stata annunciata lo scorso lunedì, 17 aprile, a seguito del viaggio compiuto dalla Presidente del Consiglio ad Abu Dhabi, a inizio marzo.
Facciamo un passo indietro. L’embargo era stato deciso nel 2019 dal Governo Conte I, che aveva decretato un blocco parziale dei commerci di armi a seguito del coinvolgimento degli emiri nell’aggressione bellica allo Yemen e di vari crimini di guerra dei quali è stata incolpata la coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Considerata “la peggiore crisi umanitaria al mondo” dall’ONU, la guerra aveva visto fin dal 2015 l’impegno degli emiri, che però proprio nel 2019 avevano annunciato il loro ritiro. Tuttavia, le limitazioni sono rimaste in vigore e nel gennaio 2021 sono state persino convertite in un blocco totale, anche se nel frattempo era nato il Governo Conte II, di orientamento politico completamente diverso dal precedente.
Nel luglio seguente a Palazzo Chigi c’era Mario Draghi ed è stato il suo governo ad ammorbidire le sanzioni, mantenendo il blocco per armi pesanti e bombe, ma rimuovendo quello per le armi leggere. Per questo il comunicato stampa dello staff di Giorgia Meloni dice che si è data “attuazione a una decisione presa dall’esecutivo precedente”.
Ma cosa è cambiato nel frattempo? Dal governo spiegano di essersi basati su “un’indagine conoscitiva della commissione Affari esteri e comunitari della Camera, sul fatto che l’impegno militare degli Emirati Arabi Uniti in Yemen è cessato. In seguito, lo scenario ha continuato a evolversi positivamente: da aprile 2022 le attività militari in Yemen sono rallentate e circoscritte e l’attività diplomatica ha avuto una importante accelerazione. L’impegno degli Emirati con altri attori regionali ha fatto progressi. Tra il 2015 e il 2021 hanno stanziato 5,5 miliardi di euro per la stabilizzazione e ricostruzione dello Yemen, impegno che è continuato nel 2022 con 500 milioni di euro e ancora nel novembre scorso, con fondo monetario internazionale e arab monetary fund, con un impegno di 1,5 miliardi di dollari in tre anni”.
Tuttavia, nonostante la recente tregua, la guerra è ben lontana dal dirsi conclusa e diversi territori dello Yemen sono tuttora occupati. Non è stato firmato alcun trattato di pace, non si sono accertate le responsabilità relative ai presunti crimini di guerra e tantomeno gli emiri si sono appassionati ai diritti umani. Eppure, a parte qualche timida protesta da parte delle opposizioni, del tema non si parla. Come mai? Beh, mentre l’invio di armi in Ucraina è per pure ragioni umanitarie (giuste o sbagliate che siano), il commercio verso l’estero è uno dei business più floridi del made in Italy. Proprio nel 2021 questo particolare export ha toccato il record storico di 4,7 miliardi di euro. Gli Emirati Arabi hanno pesato per 56 milioni, contro i 47 dell’Arabia Saudita e gli oltre 813 del Qatar, giusto per limitarci ai Paesi più noti per la loro distanza dalla nostra idea di diritti umani. Cifre destinate a salire, ovviamente, in seguito la liberalizzazione del mercato: ora le nostre armi circolano senza ostacolo alcuno in oltre 90 Paesi del mondo, dalla Nigeria alla Malesia. Mentre si continua a polemizzare sull’Ucraina, forse varrebbe la pena di occuparsi anche di questo.