Questo governo, come quelli degli ultimi 25 anni, non affronta il vero nodo che soffoca la ripresa del paese: le inefficienze, gli sprechi e la “mala gestio” della cosa pubblica.
La legge di bilancio approvato dal Consiglio dei Ministri andrà presto all’esame del Parlamento, ma sulla manovra del governo non si sono ancora placate le polemiche. Da un lato, c’è chi accusa l’esecutivo di aver varato un piano economico e finanziario inadeguato alla gravità della situazione congiunturale. Dall’altro, c’è chi rimprovera al governo di aver forzato troppo la mano sul ricorso al deficit (circa i due terzi della manovra) e di non aver ancora certezze sul resto delle coperture. Infine, c’è anche chi sostiene che il vero punto debole del bilancio 2024 sia la totale assenza di misure tese alla riduzione del debito pubblico, ormai in corsa verso i 3.000 miliardi.
Il governo di Giorgia Meloni, da parte sua, respinge ogni critica e invita tutti a ricordare la difficilissima situazione internazionale in cui si muove l’azione della maggioranza: la parola d’ordine, in attesa dell’approvazione parlamentare, è “più di questo non potevamo fare”.
In realtà, è l’intero dibattito sulla manovra che rischia di mancare il punto: il problema non è la congruità dei 24 miliardi, ma l’assenza totale di riforme strutturali.
“La prima cosa da capire – spiega l’economista Mario Baldassarri – è che cosa approva in realtà il Parlamento con il voto sul bilancio 2024: 1.180 miliardi di spesa pubblica e 1.070 miliardi di entrate totali. Questi sono i due “moloch” che vengono approvati dal parlamento in una manovra che muove 24 miliardi di euro, di cui 15 miliardi finanziati in deficit e il resto con coperture ancora in cerca d’autore.
Quello che manca alla manovra, come è evidente, è la revisione della spesa pubblica: su questo terreno, cioè il risanamento della spesa, la situazione geopolitica e le tensioni in Medioriente non c’entrano niente.
Questo governo, come quelli degli ultimi 25 anni, non affronta il vero nodo che soffoca la ripresa del paese: le inefficienze, gli sprechi e la “mala gestio” della cosa pubblica. Serve coraggio. E soprattutto un salto culturale: la mancanza di risorse non è un alibi”. Secondo l’economista, infatti, le manovre che hanno sbancato i conti pubblici sono proprio quelle degli ultimi anni: “Non dimentichiamoci – spiega Baldassarri – che nei dati di quest’anno incidono 100 miliardi di sussidi alle famiglie e alle imprese per attenuare il caro-bollette, ma che realtà dopo aver pagato le bollette, sono andati alle stesse società energetiche responsabili della gravissima speculazione sui prezzi del gas e della luce: di fatto, si tratta quindi di un “aiuto di Stato” non a favore delle famiglie e delle imprese, ma di un gruppo ben definito di grandi operatori del settore energetico. Non solo.
A questi 100 miliardi si aggiungono altri 110 miliardi di sussidi o trasferimenti, come il bonus 110%: quindi, in realtà, negli ultimi due anni l’Italia ha fatto ma una “manovra” complessiva da 210 miliardi. Altro che manovra da 24 miliardi….”.
Il messaggio è chiaro. Se non si toccano i due “Moloch” della spesa pubblica totale e delle entrate, anche attraverso la lotta all’evasione, le risorse rimangono minime e si discute soltanto intorno ai 24 miliardi della manovra che sono grosso modo il 2% della spesa. “Quindi in realtà – conclude l’economista- il parlamento approva il 100% della spesa pubblica, ma il 98% neanche lo discute: in sostanza, quella che viene discussa e approvata come “manovra” e’ il solo il 2% della spesa”.
In un contesto globale così complicato, insomma, più che discutere sulla congruità dei 24 miliardi è importante e necessario fare manovre strutturali forti che consentano al paese di ripartire: riforma della giustizia, riforma della pubblica amministrazione, riforma della concorrenza e soprattutto la “madre di tutte le riforme”, la riforma fiscale.
La manovra contiene pochissimi passi in questa direzione e soprattutto molto esigui: la revisione e la riduzione delle aliquote Irpef nel complesso ha un impatto di circa 4 miliardi. Ma per avere un’incidenza minima, la riforma dovrebbe avere un impatto sul carico fiscale di almeno 40 miliardi. Trovare le coperture per questi 40 miliardi non è facile, ma certamente possibile. E il punto di partenza non è l’invenzione di nuove tasse sugli “extra profitti”, ma il risanamento della spesa pubblica, la riduzione degli sprechi e la lotta all’evasione. Bisogna aumentare la produttività del sistema, non i sussidi e le rendite di posizione.